Drammatico, Streaming

FINALMENTE L’ALBA

TRAMA

Una giovane donna romana degli anni Cinquanta, sul punto di fidanzarsi, si reca a Cinecittà per fare un provino come comparsa e si ritrova proiettata in una notte quasi infinita …

RECENSIONI

Anni 50. Mimosa, a un passo dal matrimonio con un uomo imposto dai genitori, si presenta a Cinecittà per accompagnare la sorella a un provino per un peplum. Notata dalla star hollywoodiana del film, viene chiamata a fare la comparsa e poi ad accompagnare la diva, assieme alla sua cerchia, in un’avventurosa notte romana. Costanzo parte da una vicenda di cronaca, l’assassinio di Wilma Montesi che, nel 1953, rappresentò il primo grande caso mediatico italiano (se ne ritrovano riferimenti anche in La dolce vita): Wilma, una giovane di modeste origini, prossima a nozze probabilmente imposte, non rientra a casa per la cena; verrà ritrovata cadavere sulla spiaggia di Torvaianica, un omicidio che coinvolgerà ambienti altolocati della Capitale.


Il regista anziché ripercorrere pedissequamente la vicenda preferisce seguire un percorso parallelo che si presta ambiguamente a essere letto come sua versione alternativa e immaginaria o (forzando coraggiosamente la mano) come suo attraversamento post-mortem. La prima parte dunque assume caratteri (neo)realistici, mentre la seconda rielabora in termini onirici immagini e segni del primo segmento. Mimosa, di fronte alle immagini del cinegiornale che mostrano il cadavere della Montesi, dunque, si immedesima nella vittima al punto da ripercorrerne visionariamente i passi, ma deviando dalla traccia della cronaca e mutando l'esito finale della vicenda (un po' come la Sharon Tate di C'era una volta a .... Hollywood di Tarantino).

Così, ad esempio, la scena finale del film, che vede la protagonista camminare per Piazza di Spagna accompagnata da una leonessa (frammento tanto criticato, ma del quale pochi si sono chiesti a che logica rispondesse) è l’apice di questo riprocessare i termini della prima parte nella chiave del sogno-incubo: il primario incontro con la belva avviene infatti durante il giro nei set di Cinecittà e potrebbe essere l’ultimo momento reale del racconto, posto che mentre la ragazza guarda la belva, viene raggiunta dall’assistente che le annuncia di essere stata presa come comparsa. Alla stessa logica risponde, ad esempio, l’incontro alla festa con Alida Valli, protagonista, guarda caso, del film che Mimosa ha appena visto al cinema. E ancora, naturalmente, il filarino con il suo attore preferito. 

Tutto questo viaggio nella magnifica ossessione - che sembra un trip buñueliano in cui non si riesce mai a tornare a casa o un doppio sogno kubrickiano - risponde a logiche immaginifiche e vaneggianti, dalle situazioni (Michele Bravi che pare uscito da un set felliniano) ai dialoghi paraletterari. In esso una ragazza goffa, ignara del (bel) mondo, bruttina, non spigliata, ineluttabilmente fuori contesto, affascina irrealmente tutti. Un viaggio che si fa omaggio implicito a forme e firme della grande stagione del cinema italiano (una sorta di Babylon nostrano) in cui il regista, guardando a Fellini (anche Lo sceicco bianco) e Antonioni (La signora senza camelie, La notte), si lascia andare a un piacere nel racconto per immagini che segue un tempo (onirico) tutto suo. E che lega motivi, umori e figure con un sottotesto nostalgico che sa farsi ora lieve, ora lugubre, ora grottesco, ora parodico. Un film ambizioso (anche produttivamente) che, maltrattatissimo a Venezia, è stato proposto in sala in una versione ingiustamente tagliata di una ventina di minuti, ché la coraggiosa e necessaria dilatazione dei tempi era parte integrante della “visione”.