FEAR X

Titolo OriginaleFear X
NazioneDanimarca/Canada/Gran Bretagna/Brasile
Anno Produzione2003
Genere
  • 67298
Durata88'

TRAMA

Scrupoloso vigilante di un centro commerciale nel Wisconsin, Harry Cain vive da solo in compagnia di ricordi e visioni. Sua moglie è stata uccisa in una sparatoria avvenuta nel parcheggio del centro commerciale e lui colleziona instancabilmente articoli di giornale e videocassette di sorveglianza nella speranza di capire per quale motivo Claire è stata assassinata. Durante un interrogatorio della polizia, viene a sapere che l’omicidio è stato videoregistrato e che sua moglie avrebbe potuto conoscere l’assassino. Harry non si dà pace e prosegue le ricerche con l’aiuto di Phil, responsabile della videosorveglianza del centro.

RECENSIONI


Distrutta la fascinazione cinefila in Bleeder, Refn sposta drasticamente coordinate geografiche e cinematografiche, tornando oltreoceano per girare Fear X, mystery non privo di suggestioni lynchiane sceneggiato insieme a Hubert Selby Jr. (il cui Ultima fermata a Brooklyn era già omaggiato in Bleeder) e avvolto dalla partitura sonora composta da Brian Eno. Il terzo lungometraggio del trentatreenne cineasta danese si presenta fin dall’inizio come un film dichiaratamente soggettivo: non solo dal punto di vista della trama (un uomo che conduce un’indagine solitaria sull’uccisione della moglie), ma anche da quello estetico (alla frenesia di Pusher e alla stravaganza di Bleeder subentrano atmosfere sospese e stranianti).


Molto più controllato e rarefatto dei due lungometraggi che lo precedono, Fear X segna difatti una brusca virata autoriale (chiedo venia per il bruttissimo aggettivo): Refn aggancia il film allo sguardo di Harry Cain (John Turturro) e sfrutta la sua ossessione per generare un clima di ansia ovattata, di angoscia a bassa risoluzione che finisce per seminare dubbi sulla veridicità delle sue percezioni. Il cineasta danese si mostra perfettamente in grado di gestire questa temperatura stilistica, traendo partito dai paesaggi innevati del Wisconsin e trasformando gli spazi in ambienti impregnati di fantasmi del passato (l’abitazione di Harry, in cui l’immagine di Claire si materializza all’improvviso) o in veri e propri contenitori enigmatici (la casa di fronte alla sua, dove Harry scova dei misteriosi negativi che aprono una nuova pista).


Se la prima parte, grazie alla prova irreprensibile di Turturro e alla misura registica di Refn, sbaglia poco o nulla (fatta eccezione per un paio di rosseggianti parentesi visionarie), dalla trasferta a Morriston (Montana) in poi Fear X perde qualche colpo: entrano in scena personaggi sul filo della convenzionalità – il probo tenente Peter (James Remar) e la premurosa moglie Kate (Deborah Kara Unger) – e fa la sua comparsa il trito tema della corruzione poliziesca, rischiando di normalizzare le atmosfere sottilmente inquietanti che caratterizzavano la rappresentazione fino a quel momento. E di contro, quasi a compensare, il film si rifugia in situazioni che hanno un forte sapore di rimasticatura lynchana (il dialogo nell’ufficio del capo della polizia).


Per fortuna Refn prende di nuovo le redini in mano negli ultimi venti minuti, immergendo il faccia a faccia tra Harry e Peter in una calma dissonante e rinunciando a risolvere la vicenda sia in chiave realistica che in quella allucinatoria. L’ipotesi del complotto sopravvive accanto a quella della psicosi, anche se quest’ultima sembra essere suffragata da dati oggettivi (le dichiarazioni dei poliziotti, la ferita al fianco destro di Harry che pare essere sparita). Stante questa ambiguità di fondo, è d’altro canto fondamentale rimarcare che in Fear X le sole sequenze affidabili sono quelle videoregistrate, come se Refn, dopo le incontrollate carambole di Bleeder, avesse imparato a padroneggiare lo statuto di verità delle immagini, manipolandole liberamente senza confonderle a casaccio. I più che insoddisfacenti incassi al botteghino hanno decretato il fallimento commerciale del film e la bancarotta della casa di produzione dello stesso Refn.