TRAMA
Una misteriosa cyber terrorista irretisce Dom e lo induce a compiere crimini che lo portano a tradire anche gli affetti più cari. Tempo 136 minuti, qualche centinaio di auto in frantumi e alcune scazzottate e tutto tornerà come prima.
RECENSIONI
Più che una saga Fast & Furious è ormai un brand riconoscibile, e spendibile, in tutto il mondo. Da poliziesco ruspante e machista ambientato nel mondo delle corse d’auto clandestine, è infatti diventato una sorta di James Bond corale, o di Avengers senza lo spazio e le tutine, dove legalità e illegalità sono dettagli poco importanti e ciò che conta è sconfiggere il cattivone di turno che vuole dominare il mondo. La tecnologia ha quindi finito per sovrastare il rombo dei motori, sempre presenti e in bella vista, per carità, ma in fondo più contorno fragoroso che fulcro del racconto. L’ottavo capitolo, il primo di una nuova trilogia, inizia proprio omaggiando il passato e imbastisce una gara di auto per le strade di Cuba, ritmata, colorata e ovviamente improbabile, dove vengono subito messi in campo i punti fermi della serie: coraggio, onore e lealtà. Tutto basico, discutibile e piuttosto puerile, ma anche rozzamente efficace. Determinante in questo senso l’apporto di Chris Morgan in sceneggiatura, ormai un veterano della serie, che gioca con le aspettative del pubblico attraverso le icone che i personaggi rappresentano, spinge come al solito su un concetto di famiglia maschilista e retrivo, abbonda di un umorismo di grana grossa e riesce a impostare una vicenda che può essere perfettamente fruita anche da chi non conosce le dinamiche tra i personaggi e i capitoli precedenti, o si chiede, come il sottoscritto, “Ma il quinto lo avrò visto oppure mi manca?”.
Tra buoni che diventano cattivi e nemici che diventano amici, tre le new entry: Scott Eastwood, nella parte di un sostenitore delle regole alle dipendenze del boss della CIA interpretato da Kurt Russell (qui poco sfruttato), Helen Mirren, non accreditata, in un ruolo materno che risulta determinante per lo scioglimento dell’intrigo, e l’algida Charlize Theron che con poco sforzo cede all’immagine che il mondo ha di lei. Altro cardine imprescindibile il gioco al rialzo. Se nel capitolo precedente una macchina passava da un grattacielo all’altro, qui occorre alzare ulteriormente la posta e le prodezze previste, dalle auto zombi a quelle piovute dal cielo o in fuga da un sottomarino, non deludono le aspettative. Il cambio di regia, dal creativo James Wan al più scolastico F. Gary Gray, è quasi impercettibile, anche perché una delle regole tacite della serie è l’impersonalità del baraccone. Rispetto al capitolo 7, finora il migliore anche per la capacità con cui è riuscito a gestire il commiato del compianto Paul Walker, è minore la fluidità dei corpo a corpo e l’azione risulta più frastornante che adrenalinica. Sempre più palese, poi, l’abbandono di ogni ipotesi di verosimiglianza, scelta che con tutta probabilità ha contribuito a consolidare l’interesse del pubblico cinese perché in linea con le iperboli dei loro action, ma che finisce per penalizzare il coinvolgimento. L’intrattenimento, infatti, se non si pretende quello che il film non può e non vuole offrire, è garantito, ma procede con il pilota automatico.