TRAMA
Pianeta Rosso, XXII secolo. Una sostanza misteriosa invade i corpi e minaccia la sopravvivenza della razza umana.
RECENSIONI
Vista la trama, sorge immediata una domanda: è "Alien"? No, è l'ultima "fatica" di John Carpenter, che con ogni verosimiglianza si è molto divertito a girare questo filmetto di action pura, decerebrato quanto basta ad essere un blockbuster ma non privo di tocchi di classe, che infondono una nota di salutare scorrettezza politica (su tutti, il provocatorio - dato l'attuale, imperante proibizionismo - rifiuto della demonizzazione preconcetta delle sostanze stupefacenti). Certo, la sconfortante piattezza dei caratteri, il mood granitico degli attori (se così vogliamo chiamare i componenti di un cast che assembla senza troppa inventiva bellone da copertina, cantanti più o meno rap e vecchie star bisognose di rapido pensionamento), gli effetti e le musiche da discoteca impediscono al film di essere qualcosa di più di un'amena sciocchezza. Ma, come divertimento fumettistico da sabato sera, funziona, eccome, a patto di tenersi una bottiglia di birra a portata di mano. Un dubbio: se l'avesse diretto John Smith, l'avremmo visto a Venezia?
Cos'e' successo a John Carpenter, regista discontinuo dall'innegabile talento e fantasia capace di dare voce e corpo alle nostre paure con film del calibro di "Halloween", "Fog", "La cosa", "1997 - Fuga da New York", fino al piu' recente "Il seme della follia"? In "Fantasmi da Marte" manca un elemento essenziale per consentire ad un B-movie di mantenere freschezza e vivacita': l'ironia. Comicita' involontaria e gusto trash, infatti, hanno bisogno di leggerezza per diventare ironici, mentre tutti i personaggi si prendono terribilmente sul serio. La trama ha piu' di un'affinita' con "Pitch Black" (esempio di B-movie riuscito), ma il problema fondamentale e' che non si crede mai a cio' che si vede e diventa impossibile stabilire qualsiasi complicita' con i personaggi che si affannano sullo schermo: tutto e' gia' visto e l'atmosfera non supera i confini di un set costruito senza troppa fantasia in una miniera abbandonata del New Mexico. Marte e' solo un pretesto per inscenare la trita resistenza di un piccolo gruppo di varia umanita' circondato da minacciosi fantasmi tornati in vita per riappropriarsi del pianeta. Superata l'aspettativa di un minimo di tensione, e' comunque possibile farsi quattro risate: basta vedere una poco credibile Pam Grier con frangione, occhialoni e impermeabile nero taglia XL o la faccia da Yoghi del super cattivone di turno (ma puo' un cattivo chiamarsi Desolation?), oppure i pigiami post-atomici e post-"Thriller" degli zombie-marziani. Per non parlare dell'ingenuita' dei dialoghi infarciti di maschilismo di maniera. La seconda parte, poi, inanella una serie infinita di combattimenti privi di qualsiasi atmosfera che ricorda piu' un concerto di Marilyn Manson (di cui il capo-zombie e' fotocopia) che un horror fantascientifico. Bandita ogni logica narrativa e qualsiasi possibilita' di restare coinvolti, resta una domanda: che intenzioni aveva John Carpenter? Fare un film di grezzo intrattenimento riassumendo in malo modo i "topoi" del suo cinema o prenderci tutti in giro? Opterei per la seconda ipotesi, anche se sicuramente qualche critico illuminato riuscira' a vederci l'apoteosi del western, il potere terapeutico della droga, l'avvento di una societa' matriarcale, lo spassosissimo gusto per le citazioni, le difficolta' di integrazione tra culture diverse, eccetera, eccetera.
Altro pianeta, stessa musica: grande fan dei western di Howard Hawks, Carpenter immagina il Marte-rosso-fuoco come una nuova frontiera selvaggia popolata da sceriffi, fuorilegge, cittadine minerarie attraversate dai treni (come in Luna Zero Due) e indiani che cadono come mosche rivendicando la propria terra. Rifà Un Dollaro d’Onore con echi dei suoi Distretto 13, Fog, La Cosa e Vampires, tenendo un piede nel fantahorror di serie B e dai sapori lovecraftiani, indeciso fra il tono epico, la suspense e le coloriture buffo/fumettistiche. La prima parte può incuriosire per la sua struttura a flashback, con incastri di testimonianze che si specchiano (senza riflettere e riflettersi) in un Rashomon dello spazio; nella seconda la pellicola trova la propria ragione d'essere, con più azione ed ironia. A voler leggere fra le righe, non paiono casuali gli ammiccamenti al Vaso di Pandora (una scena in cui viene in mente L’Astronave degli Esseri Perduti), alla bomba atomica "risolutiva" e all'uomo di colore come "capro espiatorio" ma, nella produzione carpenteriana, Fantasmi da Marte spicca come un lavoro medio e poco ispirato. Non sono inediti gli ornamenti "tribali" e sadomasochistici degli alieni (vedi Clive Barker e Il Ritorno dei Morti Viventi 3 di Brian Yuzna), né travolgenti le soggettive "fantasma" dei marziani, per non parlare dell'insoluto schizzo dei personaggi che, inseguendo l'Hawks insieme ironico, romantico e drammatico, finisce solo per caricaturare i machi, le donne "toste" e il buddy-buddy movie (terribile la chiusura spaccona). Scorre l'adrenalina pura, però, quando attacca la chitarra metallara degli Anthrax e I Guerrieri della Notte si preparano al confronto.