Drammatico, Recensione

FANDANGO

Titolo OriginaleFandango
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1985
Durata91'

TRAMA

Texas, 1971. Cinque amici, all’indomani della laurea, decidono di concedersi l’ultimo folle viaggio prima di affrontare l’età adulta che per due di loro significa partire per il Vietnam…

RECENSIONI

La generazione a cui appartengo è una generazione tumultuosa.
George Bataille

Fandango: leitmotiv di un addio, di una fine, di un passaggio obbligato dall'adolescenza all'età adulta. Kevin Reynolds debutta con questo film, voluto fortissimamente da Steven Spielberg, su un gruppo di amici che, all'indomani della laurea, si ritrovano a ritardare di qualche giorno il proprio destino che pare essere inevitabilmente già scritto. E' un road movie di formazione che in nessun punto differisce dal suo genere di riferimento: grandi spazi desolati, un gruppo di amici senza una metà definita, una strada, un auto e il senso che qualcosa deve e può essere cambiato. Un viaggio iniziatico che molto deve alla tradizione cinematografica che lo precede: c'è un po' di Easy Rider, un po' di Zabriskie Point, un po' di American Graffiti, si ricorda anche James Dean ne Il gigante. Queste coordinate aiutano certamente il film a trovare una sua strada, riuscendo a non farlo scivolare  nella sterile riproposizione di un modello senza più anima. Fandango è una danza, un ritmo fatto di variazioni che oscillano, che rallentano, che si velocizzano di volta in volta: Reynolds sembra voglia partire proprio da qui, strutturando l'intero film attorno all'asse del tempo, facendo cortocircuitare passato, presente e futuro in una danza adesso tipicamente americana. L'America è ovunque, permea qualsiasi elemento, rivive nel mito fondativo al quale Fandango sembra aspirare: il viaggio come rinnovamento delle coscienze, come momento di conquista del mondo fuori e dentro sé, come riscoperta dell'appartenenza alle proprie radici che si propagano direttamente nella Storia, che per i Nostri si chiama Vietnam. Fandango a livello narrativo inizia con una separazione (Gardner, un giovanissimo Kevin Costner, sprona il gruppo di amici a sospendere e a lasciarsi alle spalle gli obblighi che dopo la laurea si stanno prospettando un po' per tutti, mettendosi in viaggio), prosegue con una serie di prove che permettono ai personaggi di conoscersi e di riconoscersi gli uni negli altri, e si conclude con due riavvicinamenti significativi: uno puramente narrativo (Kenneth e Debbie si sposano) e uno simbolico (Gardner, anima inquieta del gruppo, insofferente a qualsiasi legame, può finalmente affrontare faccia a faccia la ragazza amata, fino a quel momento forzatamente rimossa dalla sua mente). In conclusione tutto ri-torna. Anche il topos del matrimonio, ripreso come happy ending classico, come del resto il dissotterramento della bottiglia di Dom Pèrignon, sono momenti di riconciliazione con la tradizione americana, una sorta di celebrazione della propria appartenenza ritrovata. Reynolds dimostra dimestichezza e cura nel girare questa sua prima opera, rappresentazione appassionata e vibrante di un'atmosfera, di un sentire condiviso in cui l'energia dei personaggi è viva e palpabile. Del resto, 'there's nothing wrong with going nowhere, son. It's a privilege of youth' (Gardner).