TRAMA
Il regno di Elisabetta I (1533-1603), regina vergine e protestante, odiata dai regni cattolici, senza eredi ma con tre amori non consumati.
RECENSIONI
9 Emmy e 3 Golden Globe per l'ennesimo ritratto cinematografico di Elisabetta d'Inghilterra, francamente in esubero, non fosse per la magnifica interpretazione di Helen Mirren, che salva tutto. Lo sceneggiatore Nigel Williams concentra il Tempo (biografico) e lo Spazio (la Storia raccontata in salotto), per poi moltiplicare all'infinito, reiterandole fino alla noia, le stesse situazioni e gli stessi temi, rendendo anche speculari le due parti in cui si divide la miniserie (simili dinamiche di due amori negati). Dimentica al contempo passaggi fondamentali per dare senso e coerenza alle azioni: perchè il Consiglio prima caldeggia poi avversa il matrimonio con il francese? Perchè Elisabetta non consuma mai i suoi amori? Perchè il suo carattere cambia così bruscamente dalla prima alla seconda parte? Perché Il Conte di Essex la tradisce? Il fallimento nel gestire l'ambiguità di quest'ultimo (solo antipatico e dissennato), per lo meno, rende talmente irritante il personaggio da chiamare in causa la partecipazione attiva/emotiva dello spettatore. Tanti dialoghi (anche sagaci), poche visioni: la regia piatta e senza estro infila due effetti digitali, ma lascia intatta la povertà della messinscena, usa a sproposito i grandangoli e, inspiegabilmente in una produzione così soft/classica, insiste nel mostrare budella e teste mozzate. Se qualcosa viene evocato è tutto merito degli interpreti: l'alchimia fra Irons/Mirren, lo scontro/incontro fra Elisabetta e Maria di Scozia (Barbara Flynn), il bellissimo brano dove Elisabetta, furiosa e crudele più per frustrazione che per malanimo, decide di processare la cugina. Meglio rivedersi l'Elizabeth con Cate Blanchett di Shekhar Kapur: opere che condividono gli stessi motivi (il passaggio dalla dittatura del cuore a quella del cervello) e le stesse impostazioni (concentrazione romanzata ed elegiaca sul privato) ma, almeno, quella di Kapur è colorata, poetica, sanguigna, visionaria. Se l'Elisabetta della Blanchett conserva un'aura divina e leggendaria, quella della Mirren è totalmente umana, fragile.