Biografico, Drammatico, Netflix

È STATA LA MANO DI DIO

TRAMA

Napoli, anni ’80. La vita di Fabietto Schisa, 17 anni, viene sconvolta da due avvenimenti paralleli: un tragico incidente che coinvolge la sua famiglia e l’arrivo in città del campione argentino Diego Armando Maradona.

RECENSIONI

- E io cosa gli dico a questi stasera?
- E vabbè dai, gli servirebbe una frase ad effetto.
- Digli... digli che il cinema... digli che il cinema è il soffitto... digli che il cinema è il soffitto del cuore.
- È geniale, è perfetta! Maestro, grazie!
(Alessandro Cattelan, Ciro Priello dei The Jackal, Paolo Sorrentino, video opening David di Donatello 2016)

Tony Pisapia, Titta Di Girolamo, Geremia de' Geremei. E ancora Tony Pagoda, Cheyenne, Jep Gambardella. Tutti i personaggi creati da Paolo Sorrentino (compresi Andreotti e Berlusconi) sono un po' lo stesso personaggio. Sono caratteri definiti dalla loro solitudine e dai loro desideri; sono belli (compresi Andreotti e Berlusconi?), ma anche pacchiani, e spesso poco simpatici, al di là di qualche piccolo momento di inattesa intimità. (Anti)eroi coi quali difficilmente si entra in sintonia, perché chi li ha delineati mantiene da loro una “giusta distanza” quasi entomologica, da acuto osservatore del comportamento animale. La tragedia umana si studia da lontano e senza sporcarsi troppo le mani, per poterne cogliere l'inconsapevole comicità («'A vita è 'na strunzata», diceva il protagonista di L'uomo in più). Potremmo chiamarlo “grottesco esistenziale”, ed è stato, per quasi 20 anni di carriera, l'approccio preferito di Sorrentino: un contrasto tra la drammaticità della rappresentazione obiettiva di un mondo e la lente deformante della bizzarria e del sarcasmo nel quale quel mondo viene calato. Quanto ha a che fare con tutto questo È stata la mano di Dio? Pochissimo, anzi nulla. È un film – non siamo i primi a dirlo – di faglia, tra quel che è stato e quel che sarà. È un'opera che annulla le distanze, vertiginosamente, portando alla totale identificazione tra creatore e creatura.

Il grottesco c'è, è un elemento di cui non si può fare a meno, ma ora appartiene alla sfera della nostalgia. Ovvero, l'immersione non avviene più nel reale – dell'amore, della politica, dell'arte – ma nella falsificazione del reale, nella sua riformulazione mnemonica (e quindi fallace). Per dirla con Sorrentino: «Ciascuno di noi, quando frequenta l'autobiografia, condisce i ricordi con episodi che negli anni, attraverso i racconti familiari, si arricchiscono di particolari. Veri, falsi? Anche ciò che è falso diventa vero perché legittimato dal racconto che negli anni si è fatto nelle case di ciascuno di noi» (Film Tv, intervista a cura di Giona A. Nazzaro). Se La grande bellezza era l' di Sorrentino, È stata la mano di Dio è il suo Amarcord. Paolo è Fabietto, 17 anni, che cresce nella Napoli degli anni '80 sviluppando un forte legame con la famiglia (allargata, ma i cui riferimenti principali sono ovviamente i genitori, il fratello Marchino e la sorella Daniela) e sognando l'arrivo in città di Maradona. I ricordi, per definizione, procedono a strappi: a Paolo/Fabio tornano in mente i giri in motocicletta, con la freschezza dell'aria di mare che si mescola all'odore di gas di scarico, e i pranzi all'aperto circondato da una pletora di parenti sui generis, in cui tutto è fuori luogo (la signora Gentile che in lontananza si strafoga di mozzarella) ma in cui al contempo ognuno sa cosa dire (la saggezza disillusa e fanatica di zio Alfredo).

E poi c'è zia Patrizia, figura mitologica e idealizzata, somma di tante donne e perfetta unione tra la verità degli eventi e la trasfigurazione della fantasia (mentre San Gennaro arriva in Rolls Royce e il monaciello indica la via da seguire). Di fronte a cotanta vita, a questo accumulo di sollecitazioni incontrollabili e trasversali, a questo gioco che tra le sue regole annovera anche la morte, Fabietto perde finalmente se stesso e si disunisce, decidendo di non dare retta al mentore Antonio Capuano eppure ascoltandone il grido più appassionato («Tu non hai un dolore, hai una speranza»). Che sia andata veramente così assume un'importanza più che relativa e, anzi, la fuga da un certo tipo di filologia morbosa – così come dalla linearità del racconto – è uno dei punti cardine del film. Del resto il cinema ridisegna, rimodula, e (Fellini, nell'universo sorrentiniano, docet) nella sua inutilità distrae dalla scadente quotidianità. È stata la mano di Dio è il memoriale di Paolo Sorrentino sull'adolescenza, sull'intorpidimento del dolore e sul modo insondabile in cui, a volte, il dolore è la molla che fa ripartire l'ambizione. Ma per guardare avanti non si può fare a meno della malinconia, che addolcisce le cose passate avvolgendole in una patina di necessario rimpianto. Lo diceva già Romano in La grande bellezza: «Cosa avete contro la nostalgia? È l'unico svago che resta a chi è diffidente verso il futuro».