
TRAMA
Jamie e Marian, amiche con una diversa visione del mondo, noleggiano una vecchia auto e partono alla volta di Tallahassee. Fra una incomprensione e l’altra scoprono che il baule del veicolo contiene una misteriosa valigetta (e una testa congelata).
RECENSIONI
L’aneddotica non è mai divertente, e invecchia in fretta, ma per questo caso ci consentiamo una leggera e brevissima licenza. Quando sono (uso solo qui, nello spazio dell’aneddoto, la prima persona) uscito dalla sala dopo aver visto Drive-Away Dolls, l’amico che era con me è stato fulminante: “Un film coi controcazzi”. Ora, potrebbe bastare questo, ma sarebbe forse espressione eccessivamente laconica, e anche un po’ troppo colorita (come direbbe mia nonna) se non spiegata. E però in effetti perfettamente calzante per definire e al contempo giudicare con puntuto ermetismo un film come l’ultimo di Coen (strano il singolare, ma è solo Ethan; per dirvi: pure su Wikipedia inglese in effetti i due hanno solo la incestuosa pagina comune Coen brothers). Un film in cui il MacGuffin è una pulpfictionesca ventiquattrore che contiene i ricalchi dei peni di potenti uomini americani (e questo sarebbe il controcazzo letterale), ma pure un film di innegabile avvenenza, magistralmente giocato fra il registro “cazzone” (ci risiamo), maestosamente leggiadro d(e)i Coen, e lo spessore di un messaggio anarco-emancipatorio che ci dà una franca boccata d’ossigeno, specie in anni in cui dobbiamo altrimenti sorbirci, ad esempio, la pidocchiosa, didascalica e ipocrita pedagogia di cose (sic) come Barbie (e questo sarebbe il controcazzo metaforico).
Turpiloqui a parte, è presto detto: Drive-Away Dolls funziona, e funziona bene, nei suoi serratissimi ottantaquattro – brevitas di per sé rivoluzionaria di questi tempi – minuti in cui pulp, avventura on the road, lesbo-exploitation e hard boiled si uniscono in felice poligamia con regia, fotografia, e attorialità (non solo Margaret Qualley e Geraldine Viswanathan ma tutto il cucuzzaro). Tutto al posto giusto, in una sclerotizzazione controllata che ha il merito non solo di essere uno spasso (e dici poco), ma anche di articolare una non retorica e potentissima stilettata. L’uomo (in quanto ♂) ridotto al pene, abusato, schernito e abbandonato a piacimento, la parabola fallica giustamente smantellata fino all’osso (penieno), l’orgoglio saffico esibito in uno spettro che va dalla sfrenata sessualità di Jamie alla repressa morigeratezza di Marian. Ogni elemento concorre a farci leggere il film come una piccola, grande perla femminista, sceneggiata da Coen e Tricia Cooke (e la scrittura è in effetti da puro solluchero), in cui non c’è fronzolo che tenga.
Ora, arriveranno quellə che diranno che no, il cinema queercore è da altre e ben più storicizzate parti (da Waters a LaBruce passando per Dolan), e che cosa vuole questO qui torni a fare i western raffinati e le spy story da salottino di sinistra. Poi ci saranno coloro che sosterranno che la trovata è, appunto, tale e niente altro, e che in generale il giochino di fare il B-Movie ma con l’umorismo sardonico di Woody Allen non regge più, ché tanto c’è (stato) Tarantino. Alcun* ancora potrebbero suggerire che va bene, ok, ma le transizioni cervellotiche fatte con Windows Movie Maker e gli inserti psichedelici con Miley Cyrus con tutta la mise en abyme extra- o meta-diegetica che ne consegue forse puzzano di ombelicale circonvoluzione. Noi invece ribadiamo che alla fine dei conti è tutto vero, ma non importa. Drive-Away Dolls è un sollazzevole scrigno post-postmoderno meta-qualcosa (da cui l’inevitabile furia parentetica di questa recensione), un film femminil-femminista che test di Bechdel spostati, un’irresistibile risposta alla magniloquenza dell’autorialità-blockbuster contemporanea, e, se non vi basta, la prova che i Coen, pure quando viscontianamente (no Luchino sì Calvino) dimezzati, difficilmente mancano un colpo. L’aveva detto quel mio amico, ma forse si sbagliava: questo è un film con le controfighe.
