TRAMA
Due sorelle e un fratello vivono con madre e padre rinchiusi nell’angolo di mondo che i genitori hanno riservato loro: il focolare domestico. Di ciò che sta oltre il giardino i tre non conoscono nulla.
RECENSIONI
"Un cane è come la creta, il nostro lavoro, qui, è di dargli forma [...] Ogni cane, anche il suo, aspetta che noi gli insegniamo come comportarsi. Capisce? Noi siamo qui per determinare quale comportamento il cane dovrebbe avere. Vuole un cucciolo o un amico? Un compagno? O un cane da guardia che rispetta il suo padrone e obbedisce ai suoi ordini?"
Cresciuti esclusivamente tra le pareti di casa, senza conoscenza alcuna del mondo esterno, tre ragazzi sono detenuti in una prigionia che non possono comprendere, vittime non conscie di un aberrante metodo educativo, incarcerati nel confortante candore del focolaio domestico. Letteralmente: idioti. L'intento dei genitori, scottati da traumi mai esplicati e inflessibili carcerieri, è negare i figli alle turpitudini caratteristiche della società contemporanea, addestrarli (come animali) a una realtà creata a tavolino, depurata da nefandezze secondo i propri criteri morali. Perciò, per gli ignari detenuti di Kynodontas, Famiglia coincide con Mondo e l'orizzonte è il cancello del giardino di una villa oltre il quale regna l'ignoto, un abisso inconoscibile che non può che rimare con Male.
Potere è Potere
Difficile non portare alla memoria, di fronte a Kynodontas, l'acuta parabola di The village - opera centrale del decennio scorso, trattato di filosofia politica post 9/11 in vaga forma di fiaba horror - : come il film di Shyamalan, questo secondo lungometraggio di Giorgos Lanthimos inscena una realtà che è emanazione letterale del Potere (nel dettaglio quello di una generazione offesa sulla successiva), sottolinea, con enfasi differente, il ruolo centrale del linguaggio come forma di controllo, elegge la paura del nemico a collante sociale e la superstizione a forma di governo, coglie l'importanza del gioco e riflette, infine, sul valore dell'immagine. Ma mai film furono (evidentemente) così diversi: se The village è una grande narrazione popolare, immersa nell'attualità, densa di vertiginose implicazioni teoriche, e, sostanzialmente, appartenente ad un genere del cinema classico statunitense ben identificabile, Kynodontas rivendica l'afflato di certo cinema europeo degli anni '70, sposa quel medesimo furore anti-borghese, incarnandolo in una retorica crudemente dimostrativa, il cui scopo non è dunque cogliere le contraddizioni che fondano una comunità, ma scagliarsi in un violento close-up contro le ipocrisie dell'istituzione Famiglia.
Linguaggio=mondo
Una cassetta registrata viene inserita in un mangianastri. Play. "Le parole nuove del giorno sono: mare, autostrada, escursione e carabina". Nell'incipit di Kynodontas il linguaggio viene eletto a luogo principale dell'espressione del potere: la voce registrata della madre illustra ai figli il significato di parole a loro sconosciute, falsificando la lingua, riducendo, come si diceva precedentemente, il Mondo all'unico ambiente da essi esperibile: quello familiare. "Mare" diviene una particolare tipologia di poltrona ("come quella che c'è in soggiorno"), "autostrada" un vento molto forte, "escursione" un materiale per produrre pavimenti, "carabina" un bellissimo uccello bianco. Corrompendo il linguaggio, disancorandolo dalla convenzione riconosciuta, l'idea di un Altrove identificabile ("mare") viene cancellata e con questa l'idea della fuga ("autostrada", "escursione") come quella della violenza ("carabina"). "Telefono", per i giovani protagonisti di Kynodontas, non è un mezzo di comunicazione, ma una saliera. La repressione linguistica investe, ovviamente, anche la sfera sessuale: l'organo genitale femminile diviene "tastiera", mentre a chi domanda il significato di "fica" si risponde: "E' una lampada". I genitori filtrano il linguaggio, lo stuprano, lo reinventano per controllare coloro che si ostinano a chiamare "bambini". Ma è necessario farlo? Perché arricchire il lessico dei figli con vocabili che, semplicemente, si potrebbero censurare? Prevenire è meglio che curare: padre e madre annientano, precauzionalmente, la potenzialità sovversiva di alcune parole, introducendole deformandone il senso. Il potere del linguaggio e il linguaggio del potere sono, in un'ottica apocalittica fieramente e solo apparentemente anacronistica, al centro di un certo cinema contemporaneo, ossessioni di film diversissimi come La classe di Cantet e Politist, adjective di Porumobiu, sino all'horror carpenteriano di Pontypool del canadese McDonald, dove le parole si trasformano in virus. Kynodontas, dal canto suo, ribadisce. Non è un caso che i ragazzi non siano in grado di dare un nome al gioco che hanno inventato: il linguaggio, sono abituati, è dettato dall'alto. E non è un caso che in casa nessuno (eccetto l'esterna Christina) abbia un nome: ciò che conta è il ruolo che ognuno assume, la conferma della propria funzione e del proprio grado gerarchico all'interno della Famiglia. Avere un nome (un nome come Bruce, ad esempio) significa individuarsi finalmente come singolo.
Paura, superstizione, dipendenza
- Un bambino è pronto a lasciare la sua casa, quando?
- Quando il canino destro cade. O il sinistro, non e' importante quale. In quel momento, il corpo e' pronto ad affrontare tutti i pericoli.
- Per lasciare la casa in sicurezza bisogna usare la macchina. Quando uno può imparare a guidare?
-Quando il canino destro ricresce. O il sinistro, non importa quale.
Oltre il linguaggio, ovviamente, i genitori (ri)creano leggi, coltivano paure, instaurano superstizioni per potere controllare il proprio mondo, per renderlo autosufficiente, chiuso, finito: l'esterno avrà modo di esistere solo per coloro ai quali (possibilità irrealizzabile) cadrà e ricrescerà un canino (il Kynodontas del titolo). Un'altra narrazione si incarica di annichilire il corpo: la nascita non implica una gravidanza, tanto che la madre minaccia di dare vita a due gemelli e ad un cane. E poi la paura, un (facile) collante: il Gatto (con la G maiuscola) viene eletto a nemico comune, pericolo infiltrato da combattere alla stregua di cani da guardia. Così i genitori confenzionano una narrazione che funga da esempio, un Mito che faccia tabula rasa di ogni desiderio di fuga: si parla di un presunto fratello confinato all'esterno, la cui sorte ed esistenza effettive non ci sono date a sapere e che, si sospetta, potrebbero essere un antefatto legato causalmente alla situazione rappresentata dal film. L'ideale di indipendenza dal Fuori è perseguito, addirittura, indottrinando una delle figlie alla pratica della medicina. E' palese la volontà di rendere i figli totalmente dipendenti dai genitori, negando loro la possibilità di una crescita. Quel che ne risulta è una prole "perfetta", perché perfettamente condizionata dall'ambiente in cui vive, pavlovianamente (si veda ad esempio la reazione automatica della figlia minore alle amputazioni: che siano rivolte ad un oggetto animato - un gatto - o a una bambola, lei urla),copia conforme alla cultura dei genitori/maestri, diretto precipitato sottomesso alla legge del taglione: così i figli vengono educati alla competizione (nel gioco, sostituto del lavoro), alla proprietà privata (il ricatto sulla probabile condivisione delle camere con i nascituri), abituati a una logica radicalmente patriarcale dove solo all'uomo, a cui si deve la sussitenza, è riconosciuto il bisogno sessuale (si veda la figura di Christina, pagata per accoppiarsi con il figlio), e dove la donna è semplicemente addetta alla cura del focolare (sino a scomparire definitivamente dalla società) e oggetto di sfogo per pulsioni maschili (la scena di sesso tra moglie e marito non dista molto, per meccanicità, da quelle tra Christina e il figlio maschio), in una deriva puritana, dove il sesso rimane oltre porte chiuse, segreto, e dove sotto l'apparenza benpensante c'è spazio per la prostituzione e la pornografia. E, infine, anche per l'incesto. Nel nome della Famiglia.
"I film liberano la testa"
Nell'utopicamente edulcorato e anestetizzato ambiente familiare, però, penetra infine un istinto profondamente umano, pulsante, incomprensibile. La figlia maggiore, come a sancire un'auspicabile, fisiologica (seppure ritardata) maturità, manifesta un desiderio di emancipazione: tra le pareti domestiche affiora la violenza, il sesso (grazie a Christina, che sfrutta l'ingenuità della ragazza barattando strani oggetti in cambio di sesso orale) insinua nuove modalità d'esperienza, ma, soprattutto - direbbe Fassbinder - il cinema libera la mente. In un luogo dove le immagini (a cominciare dalle etichette dei prodotti) non hanno cittadinanza, ma esistono solo in un'ottica documentaria e paradossalmente manipolativa che rinforzi la finzione della famiglia (tanto da ridurre, potenza della prospettiva, anche aereoplani a semplici giocattoli) o la celebri (tramite ritratti), le visioni nascoste di Rocky, Lo squalo e Flashdance deflagrano i limiti della casa, danno forma a parte dell'ignoto, forniscono alla ragazza nuovi modelli, eccitano la possibilità di nuovi mondi, mostrano altre realtà possibili. Anzi, acidamente, altre finzioni. Come la Famiglia.
Questione di stile
Non si definisca Kynodontas un film surreale: Lanthimos parte da una situazione non completamente sconosciuta alla cronaca nera, porta al parossissismo un'idea e ne trae, realisticamente, le conseguenze. Che nei risultati convivano, perennemente giustificati, tragico e comico, strazio e grottesco, è merito da ascrivere al talento dell'autore, in grado di realizzare un'opera che, nonostante la tesi di fondo, è capace di non assuefare lo spettatore, di non intorpidirlo, tramite accorgimenti che rompono la fredda monotonia dello sguardo: gestione del sapere perfettamente calibrata e slittamenti tra un tono e l'altro, movimenti sbalestrati di macchina a infrangere la fissità, scarti nella gestione del sonoro. La rigida staticità dello sguardo (così stabile da non tenere nemmeno in considerazione il movimento dei corpi, incapace di re-inquadrare, politicamente chiusa, autonoma rispetto all'azione) viene via via sottilmente minata, in perfetta coerenza con il narrato. Sino al finale, crudelmente aperto. Vincitore a Cannes 2009 dell' Un certain regard, Kynodontas rimane chiaramente inedito nella patria del Family Day. Lanthimos ha la saggezza narrativa (e l'occhio behaviourista) di Haneke e il senso dell'umana mostruosità di un Solondz. Come a dire, grossolanamente: da recuperare. Assolutamente.