Horror, Netflix, Recensione

DOCTOR SLEEP

Titolo OriginaleDoctor Sleep
NazioneU.S.A., U.K.
Anno Produzione2019
Genere
Durata153'
Sceneggiatura
Trattodall'omonimo romanzo di Stephen King
Montaggio

TRAMA

Danny Torrance, il bambino con la luccicanza, è cresciuto. Adesso è un uomo che deve fare i conti con la sua particolarità e cercare di conviverci. Nel farlo, si è ridotto a una sorta di relitto umano: alcolizzato e spiantato, senza presente né futuro. Toccato il fondo, Dan decide che è abbastanza e si riposiziona in una serena cittadina, trova l’amicizia del fraterno Bill, si disintossica dall’alcool e si mette a lavorare di buona lena.

RECENSIONI

Mike Flanagan ha un’ambizione smisurata in Doctor Sleep, ambizione accuratamente celata dietro il paravento di una tessitura stilistica tanto piana quanto prosaicamente espositiva: creare un ponte tra la dialettica kinghiana e la materia filmica di Stanley Kubrick.
Quando si parla di dialettica, nel caso di Stephen King, facciamo riferimento a un sistema tripartito all’interno del quale il soggetto, nel processo di presa di coscienza dell’orrore del mondo (e, in questo caso, del suo canale di espansione/amplificazione: l’Overlook Hotel), partecipa all’immersione rovinosa nell’orrore stesso, fino a raggiungere, a seguito di numerose dinamiche conflittuali, la redenzione.
È proprio il senso liberatorio dell’affrancamento dal male che, volutamente, manca nello Shining di Kubrick, ovvero quello sforzo del pensiero e dell’azione tanto importante per King che celebra, nonostante tutto, la prassi della sofferenza e del dolore come passaggio necessario per la liberazione finale, e che lo stesso Flanagan sposa in toto come nucleo filosofico della sua opera a partire dalla precedente fatica seriale The Hunting of Hill House.

L’adattamento del romanzo omonimo (pubblicato nel 2013) asciuga le imprevedibili e intricate trame familiari che coinvolgono i protagonisti per costruire il film su due pilastri fondamentali: da una parte, il potere dell’iper-coscienza potenzialmente salvifica che prende il nome di “luccicanza” (inizialmente vissuta come condanna da parte di Dan Torrance e spostata di segno dallo stesso nel finale) minacciato dalla predatoria ferocia del “Vero Nodo”, il gruppo di vampiri di anime che, fino all’ultimo, cercherà di eliminare il prodigio Abra; dall’altra, il legame karmico/genealogico tra il defunto padre Jack e il figlio Dan, relazione che vede quest’ultimo ripetere nella prima parte del film (e del romanzo) lo stesso percorso autodistruttivo nel buio dell’alcolismo che aveva segnato il nefasto destino del genitore.
In questo senso, diventa esemplare la scena in cui Dan si trova a sostenere un colloquio nello studio del dott. Dalton, membro degli Alcolisti Anonimi che offre al protagonista una possibilità di riscatto. Lo spettatore si trova proiettato in un contesto pressoché identico a quello che Stanley Kubrick ha messo in scena subito dopo il prologo di Shining: Jack Torrance, infatti, incontra il direttore dell’Overlook Hotel in una situazione interamente sovrapponibile a quella che il figlio Danny esperisce in Doctor Sleep.

È proprio in questo momento del film che Flanagan prende nella sostanza, da un punto di vista meramente narrativo, le distanze dal romanzo e, al tempo stesso, ne incarna lo spirito sotteso. La citazione diretta al capolavoro di Kubrick, infatti, serve al cineasta americano sia per porre l’accento su come lo stesso evento traslato nel tempo rappresenti per Jack e Dan il medesimo significato, ovvero l’occasione della vita per redimersi (elemento, questo, totalmente assente nello Shining cinematografico), sia per tentare di far coesistere due universi antitetici eppure egualmente fondamentali per l’immaginario collettivo: l’immortale cattedrale filmica kubrickiana e il doloroso umanesimo profuso nelle pagine di King.
Rompere la linea del karma familiare significa esattamente questo: cogliere l’occasione che i padri non hanno saputo valorizzare; sapere di essere “nel posto giusto” (come sottolinea un paziente della casa di riposo in un momento del film) per poter attendere la chiamata definitiva, chiamata che si configura in un definitivo passaggio di testimone alla giovane Abra e che certifica nel finale il compimento cosmico del destino di Dan Torrance.
La sostanziale discrasia tra chiarezza d’intenti e squilibri compositivi rappresenta il principale problema di Doctor Sleep.
Il fatto che Flanagan sia essenzialmente interessato, come argomentato poc’anzi, all’armonizzazione di due universi paralleli, processo che culmina nello scontro finale all’Overlook Hotel, vero tripudio di segni letterari e filmici a confronto, fa sembrare tutto il resto un pretestuoso e prolisso percorso preparatorio. In sostanza, la lunga narrazione che vede il potere della luccicanza messo in pericolo dal male universale diventa mero sostegno di qualcos’altro, elemento fondamentale in senso orizzontale ma piuttosto irrilevante nella struttura complessiva dell’opera.
Giunti all’epilogo, nel quale lo spettatore assiste alla distruzione dell’Overlook Hotel e al sacrificio di Dan (il quale, come in precedenza fece con lui il cuoco dell’albergo Dick Halloran, resta sospeso tra due mondi a vegliare su Abra per completare la sua “missione”), la sensazione che tutte le suggestioni evocate nella prima parte restino incompiute, se non addirittura abbozzate, è molto forte.  Non si discute insomma il perché dell’operazione, nonostante restino forti perplessità sul come essa arrivi a compimento.