Fantascienza

DISTRICT 9

Titolo OriginaleDistrict 9
NazioneNuova Zelanda/ U.S.A.
Anno Produzione2009
Durata112'
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

20 anni fa, a Johannesburg sbarcano gli alieni. Inoffensivi, malati e spaesati, vengono confinati in una baraccopoli fino a quando una multinazionale senza scrupoli, la MNU, viene incaricata di farli traslocare di qualche centinaio di chilometri…

RECENSIONI

L'alieno come metafora del diverso, la fantascienza virata al mockumentary, i governi/militari ottusi in cerca di super-armi (aliene), il citazionismo cinefilo esibito, la sci-fi con morale della favola. Cosa c'è di veramente originale in District 9? Probabilmente poco o nulla, facendone un'autopsia e isolando le varie parti. La vera bravura del sudafricano Blomkamp sta, casomai, nell'abbandonare le iperboli (il bambolotto di Rambaldi) in favore dell'attualizzazione diretta (lo slum iperrealista) e nel darcela a bere con un’autoironia parodica che un po' mette le chele avanti, un po' colpisce e diverte quando diventa feroce humour nero (lo scoppiettio abortivo nella baracca in fiamme, il gamberone bersaglio gratuitamente sacrificale). Finché District 9 rimane settato su questi registri, finché cioè la grandeur fantascientifica viene quotidianizzata in salsa metaforico/grottesca, ci sembra operazione assai riuscita e dotata di una sua personalità globalmente, sì, 'originale'.

Meno centrate ci sono parse delle derive più chiaramente spielberghiane che sembrano abiurare l'atipico mood della pellicola in favore di una progressione drammatica troppo scoperta e lineare (il percorso di formazione di Wikus, l'eccesso di zucchero profuso nell'ultima parte) qualche snodo narrativo poco giustificabile, se non in termini - per così dire - 'utilitaristici' (il KO inferto da Wikus a Chris e il tentativo di fuga in solitaria perché? e per dove? per citare Bad Taste?) e qualche eccesso glicemico (il gamberetto) che, di nuovo, mal convive con l'epicentro del film che sembrava, invece, fare del distacco ironico la sua cifra. (in tal senso, appaiono ovviamente più coesi e centrati i 6 minuti 'tutti idea' di Alive in Joburg, il corto del 2005 che Blomkamp ha dilatato in District 9).

Nondimeno, sarebbe comunque ingiusto non riconoscere a Blomkamp i suoi meriti: il suo film d'esordio rimane operetta diseguale ma singolare, con problemi di tenuta e coesione ma per certi versi nuova, capace di mascherare un budget modesto ('soli' $30000000) con una regia ad hoc finto documentaria, che sa comunque pizzicare le corde del respiro epico (la presenza costante e metafisica dell'enorme astronave sospesa in moltissime inquadrature), che svolge con competenza i compiti action che l'ultima mezz'ora di pellicola 'si autoimpone' ¹ e che è davvero ben gestita in termini di ritmo e slalomeggiamenti tra possibili zone morte. E infine non dimentichiamoci del sostrato politico che qualcuno (non noi, lo ammettiamo candidamente) potrebbe trovare interessante, benché spiattellato senza troppo pudore: il Sud Africa, l'Apartheid, il riferimento al District 6, la meta-emarginazione tra emarginati e sì, insomma, ci siamo capiti.

Incappato nel cortometraggio Alive in Joburg (2004) di Neill Blomkamp, suo co-regista nel cortometraggio Crossing the Line, girato per testare la neonata camera digitale Red One, Peter Jackson ne ha prodotto con entusiasmo la trasformazione in lungometraggio: non è difficile intuirne i motivi, dato che sembra, in parte, di rivedere la sua prima opera con alieni da Fuori di Testa, fra azione e commedia trash. Ma il racconto del regista sudafricano è anche altro, ha percorsi tematici che sono al contempo banali (l’umano che si mette nei panni degli alieni), curiosi (gli alieni in apartheid) ed efficaci nel richiamare alla memoria l’infezione del razzismo. I sapori fantascientifici sono déja-vù fra Alien Nation, Starship Troopers, pizzichi di ferocia demenziale alla Mars Attacks e, soprattutto, il solito “la creatura di Frankenstein” con variazioni prese da La Mosca a Il Fantasma dell’Opera: ma, forse, è solo la tragicommedia dell’umano ad essere ripetitiva in sé, quella dell’essere comune, magari pavido, trasformato dalla massa in mostro da perseguitare. Gli stilemi di ripresa sono alla moda, cioè finto documentari in stile REC e Cloverfield, ma la commistione di temi, modi e, non ultimo, di un apparato di effetti speciali strabilianti (Blomkamp è un esperto: suoi i “robot” dello spot Citroen C4) ottenuti a budget ridotto, crea un risultato esplosivo, inedito, appagante.