Apple Tv+, Drammatico, Miniserie, Thriller

DISCLAIMER

Titolo OriginaleDisclaimer
NazioneU.S.A., U.K., Messico
Anno Produzione2024
Durata7 puntate
Sceneggiatura
Tratto daDiscaimer, romanzo di Renée Knight

TRAMA

Catherine Ravenscroft è un’acclamata autrice di documentari che scopre che un suo terribile segreto sta per essere rivelato in un romanzo incentrato su di lei.

RECENSIONI

Torbido, eccessivo, inquieto e incalzante, Disclaimer - La vita perfetta, tratta dal romanzo omonimo di Renée Knight, è un dramma bi-famigliare che, con andamento teatrale e acuminata scrittura psicologica, racconta di discese agli inferi mediali a suon di vendette furenti e silenziose. Sono quelle di Stephen Brigstocke - ottimo Kevin Kline -, padre orfano di figlio e moglie; le sue, sono vendette squisitamente mediatiche, dove dimensione privata e pubblica si baciano, sono in sostanza narrazioni, dalla pubblicazione di un funesto romanzo, alla creazione di un profilo finto su Instagram, passando per la diffusione di foto analogiche e remote: tracce di un'assenza da motivare, riesumata tramite il racconto, la messa in scena, la scelta di cosa inquadrare del reale. Sono riletture e insieme rimozioni di quel fuoricampo che muove tutto il film. La vittima, o carnefice, unica testimone rimasta di quel fuoricampo è la Catherine Ravenscroft di Cate Blanchett che nella sua comfort zone interpretativa aggiunge un nuovo, volto alla sua carriera di decustruzione di tanti stereotipi legati al protagonismo femminile, con la sua serie di protagoniste rotonde, non ovvie perché mai edificanti come in Diario di uno scandalo, Blue Jasmine, Tar, Che fine ha fatto Bernadette?. In questo caso, una documentarista stimata e blasonata, fin dalla cerimonia di premiazione del primo episodio, in cui chi la introduce dichiara: «Vi invito a concentrarvi su narrazione e stile. La loro forza può portarci vicino alla verità, ma entrambi possono essere un’arma con grande potenziale manipolatorio». Introduzione che echeggia il prisma di stili e generi che è Disclaimer, molti già frequentati da Cuaron - cupo thriller psicologico, melò, noir, revenge tragedy - amalgamati ma differenti che, nella meta-fiction rifratta tra voci e sguardi diversi, mettono in scena la disunione ormai irrisolvibile tra narrazione e verità, sfiduciando la capacità del narrare, e quindi del cinema di essere ancora oggi immersivo e nitido nel cogliere il reale. Come Niente da nascondere di Michael Haneke, Il dubbio di John Patrick Shanley, L'accusa di Yvan Attal e su tutti Anatomia di una caduta di Justine Triet è un cinema intracranico e verbosissimo, un thriller di colpe e gogne che hanno a che vedere con l'individuo, la sua collocazione sociale, la sua prospettiva, i suoi pregiudizi. Più che il racconto, sono le infinite possibilità di raccontare lo stesso fatto che originano un cortocircuito in cui la verità sembra condannata a vestire per sempre panni discutibili, dubbi, inverificabili, imbrattati da storie e interpretazioni. Un titolo che processa il reale come un legal drama senza sfiorare tribunali, animato da guizzi, eccessi e ridondanze spiccatamente e volutamente televisive, scandalistiche, nette nella loro conflittualità, realistiche nella loro enfasi, aruspici nel loro perlustrare così minuziosamente il dolore dei traumi che si perpetuano. Un eccesso di racconto, appunto, veicolato da due fotografie diverse (Lubezki e Delbonnel), un punto di vista disinnescato per moltiplicazione e tre voci pensiero in prima, seconda, terza persona singolare che sovrastano l’agito e il detto di ogni personaggio: come se il letterario, l’elaborarsi, il romanzarsi, precedesse la vita stessa. Un eccesso che ha fatto guadagnare a Disclaimer l’accusa di essere kitsch, trash, patemico, se non peggio. E come la più svelata, artificiosa e stratificata delle narrazioni a incastro, è anche quello: complessissimo nell’orchestrazione narrativa, nel gesto della scrittura, negli orpelli del mestiere, quindi paradossalmente triviale, sovraccarico, estremo nel suo rappresentare la deriva di un presente iper-narrato, mediato, commentato, scisso in letture e verità opposte e coesistenti, satollo di storie e contenuti, compiaciuto dello strumento del raccontare tanto da inflazionarlo. Come ne La stanza accanto di Pedro Almodovar, tutto accade nel rapporto tra due narratori di diverso tipo: una documentarista e l'apparente autore di un romanzo di finzione. Qui, sono entrambe figure genitoriali escluse dal loro nucleo, le più distanti dai rispettivi figli, separate dalla propria vita, spaesate nello spazio, rapite dal passato, da un modo in cui raccontarlo. Tutti in Disclaimer (se la) raccontano, scrivono per razionalizzare l'ellisse, l'altro, ciò che non sanno, non accettano. È attualissimo nel tratteggiare una stortura del presente perchè fa della narrazione uno stile, addirittura, spesso non credibile, pletorico, ma coerente nel suo ingozzarsi di letture e scritture del reale senza esserne mai sazio. Come se il chiasso di quella didascalia iper-invasiva, quel demiurgico palleggiare collettivo tra sguardi e voci alla fine non fosse che puro silenzio: un vuoto, per l'appunto un disclaimer, dichiarazione di esclusione di responsabilità. Una vita ridotta a opera tratta da una storia vera e una storia vera ridotta a paratesto che, prima della finzione, ci dice che “ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti è puramente casuale”. In sostanza, che è responsabilità nostra, se ci crediamo davvero.