Sportivo

DI NUOVO IN GIOCO

Titolo OriginaleTrouble with the Curve
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2012
Genere
Durata111'
Sceneggiatura
Fotografia

TRAMA

Gus Lobel è da decenni uno dei migliori scout del mondo del baseball. L’età avanza, la vista recede, il posto traballa: la trasferta nel North Carolina sarà la sua prova del fuoco. Lo accompagna la figlia Mickey, cresciuta sotto l’ombra del baseball e di un padre assente.

RECENSIONI

Da quindici film, a partire dall'ormai lontano I ponti di Madison County, Robert Lorenz è il fedelissimo assistente alla regia di Clint Eastwood, di cui ha seguito la traiettoria, che è culminata con il riconoscimento ad autore tra i più celebrati del cinema statunitense. Come lui, anche un folto gruppo di tecnici (tra i maggiori: Stern alla fotografia, Cox e Roach al montaggio, Murakami alla scenografia, Moore alla produzione). Ma non è questa la sola eredità di Eastwood in Trouble with the Curve. Certo, c'è la partecipazione come protagonista, praticamente nello stesso ruolo già interpretato in Gran Torino. C'è soprattutto un'affinità drammaturgica che sembra più un rimestare semi-automatico negli ultimi soggetti del regista californiano: lo sport salvifico, il conflitto tra padre e figlia, i disagi della vecchiaia, il senso di estraneità dentro un tessuto sociale sempre più dilaniato etc. C'è infine una regia che si vorrebbe classica – nel significato equivoco che ha per la critica questo attributo riferito ad Eastwood, retoricamente incoronato l'ultimo dei classici – ma che è semplicemente insussistente, il puro atto di inquadrare i personaggi che compiono un'azione nel modo più insignificante possibile. Ad intravederci un minimo di autocoscienza, si potrebbe dire una parodia. Invece è soltanto essere più realisti del re.

Le vicende di Gus (un Eastwood che oltre a brontolare, inciampare ed imprecare fa poco altro) e di Mickey (la graziosamente scipita Amy Adams) scorrono via via verso una convergenza affettiva, ovvero la sutura della relazione tra il padre e la figlia, che si lascia presagire come melenso happy ending già dal primo quarto d'ora. Tra i due incombe da molto tempo una distanza siderale che, almeno nelle intenzioni dello sceneggiatore, dovrebbe avere per origine una ferita remota, a cui però Lorenz non riesce ad assegnare un ruolo né tanto meno una motivazione diegetica, con il risultato che l'agnizione («Well, you don't know half of what you think you do», «Okay, then tell me the other half», «You remember years ago, down in Mobile, Arizona...») arriva quasi a sproposito. Questo è un caso, il più clamoroso di certo, di una scrittura grossolana, pedante ed estremamente rigida – si sarebbe potuto prendere l'incipit, ad esempio, in cui il tema della vecchiaia è coniugato con le scene di a)  minzione sofferta: problemi di prostata, b) ruzzolone e conseguente sbrocco: problemi di vista e di nervi, c) colazione con carne in scatola: solitudine, trasandatezza.

Personalmente credo che Eastwood sia prima di tutto un narratore della lacerazione – tra l'individuo e la società, tra il presente e il passato, tra la superficie e la profondità, tra la vita e la morte. Metterei volentieri da parte tutto il resto, specie le degenerazioni senili degli ultimi film. In questo senso, più che i grandi conflitti morali, mi pare che sia il trauma la figura più importante del suo cinema – ed è sempre in questo senso che Hereafter acquista il valore del manifesto di poetica ultima. Ne consegue in rapporto ad esso un certo determinismo, che è poi il medesimo della psicoanalisi freudiana, a partire dal quale tutto si accomoda come una coreografia di rielaborazioni ostinate che inevitabilmente giunge ad una soluzione, per quanto impossibile e posticcia si dichiari essere. Trouble with the Curve tutto sommato non ne è che un'emulazione sbiadita. Tanto più evidente il confronto con Gran Torino, come si è detto anche per la copia conforme del personaggio di Gus/Kowalski che però lì aveva esplicitamente i tratti di una caricatura, tanto più tragico il fallimento.