TRAMA
17 anni e con una voglia incontenibile di scoprire il mondo, Martino è un ragazzo che vive nella campagna attorno a Bari. Rifiutando di piegarsi al destino di povertà e isolamento che la famiglia sembra già proiettare su di lui, il giovane si lascerà coinvolgere da alcune nuove amicizie cittadine, fino a vivere due vite in mondi lontani e forse troppo distanti.
RECENSIONI
«Ogni elemento messo in relazione con un altro crea armonia»; e ancora, «senza il dionisiaco il bello apollineo non può esistere». Attraverso gli stralci di una lezione di Storia dell’Arte nella Facoltà barese di Filosofia, Cosimo Terlizzi offre allo spettatore le coordinate del suo esordio al lungometraggio, un prezioso racconto di formazione che ruota attorno al giovane Martino e al suo difficile rapporto con la vita in famiglia, l’isolamento, la campagna. La traiettoria di Dei è chiara da subito, duplice, come dicotomica è la realtà che il ragazzo imparerà a conoscere una ferita una volta, uno slancio alla volta, apprendendo sulla sua pelle l’intima molteplicità del reale.
Martino, che a diciassette anni vive con la famiglia povera in campagna ma si reca regolarmente in città, a Bari, per seguire da esterno le lezioni all’Università, si ritrova diviso tra due vite parallele, due mondi che apparentemente non hanno nulla da dirsi e che si guardano da lontano come la terra guarda il cielo, l’uomo gli dei. Gli amici musicisti conosciuti da Martino, intellettuali borghesi che vivono la città scrutandola dall’alto, da una sorta di Olimpo abitato come fosse una Comune sfuggita ai fallimenti della Storia, rappresentano tutto quello che al ragazzo è mancato in una vita fatta di privazioni sociali, emotive, biografiche. Alla luce di questa nuova esperienza, la quotidianità offerta dalla campagna pare intessuta ancor di più di gesti crudeli, di squallidi retroscena famigliari, di routine lavorative messe insieme da chi si arrabatta e reinventa sempre per campare. Ma la campagna non sono solo ferrivecchi raccolti nelle discariche abusive, è anche un prato notturno illuminato da una fiera di lucciole intermittenti, l’innocenza degli animali promessi al macello, la forza umida e vitale della terra nascosta dalle piastrelle del pavimento. La vita, come insegna ogni percorso di formazione che si rispetti, ha ben poco di manicheo. Per Martino la via d’uscita dal suo sdoppiamento d’identità non può essere quindi uno iato, uno strappo, uno sradicamento dalla campagna simile a quello che è in corso tra la Terra e la Luna, via via più lontani quattro centimetri all’anno; per quanto precaria e difficile la soluzione è allora una sintesi, l’unico modo che il ragazzo avrà per preservare la linfa del proprio passato senza che questo significhi soffocarne il futuro.
Prodotto dall’indipendente Buena Onda di Valeria Golino, Riccardo Scamarcio e Viola Prestieri – produzione che già aveva lavorato con Terlizzi per il documentario L’uomo doppio – Dei è un lavoro che svela la sua natura di esordio, non mancano infatti schematismi e passaggi didascalici nella sua fluttuazione rizomatica, apparentemente priva di una forte direzione narrativa. Ma sarebbe un peccato fermarsi alla superficie del racconto, perché al di sotto troviamo uno sguardo registico sorprendente per freschezza e intensità, un legame (evidentemente autobiografico) con gli echi e le suggestioni dei due mondi raccontati che tiene assieme il tutto anche nei momenti più artificiosi e comandati. Il gioco metaforico sull’attrazione mesmerizzante suscitata dagli “dei” di Martino rischiava di trasformare il film in una gabbia retorica, ma la sensibilità messa in campo da Terlizzi, la delicatezza che ha nell’avvicinarsi e seguire i suoi giovani lasciandoli appesi in uno stato di evocazione indefinita, accennata, fa sì che il film possa uscire indenne dal suo impianto duale così ragionato e affermarsi come uno degli esordi più interessanti del recente cinema italiano.
