Fantascienza, Musicale

DAFT PUNK’S ELECTROMA

NazioneU.S.A., Francia
Anno Produzione2006
Durata74'
Montaggio
Musiche

TRAMA

I Daft Punk, due robot, salgono su un auto nel deserto e dopo aver guidato per un po’ arrivano in una città abitata da robot come loro. I due si sottopongono a un intervento per farsi impiantare un volto umano che però, dopo poco tempo, si scioglie sotto il sole. Insieme, si incamminano nel deserto…

RECENSIONI

Com’è noto, il 22 febbraio 2021 i Daft Punk hanno annunciato il loro scioglimento e lo hanno fatto con la pubblicazione di un video di 8 minuti scarsi, intitolato Epilogue, che conteneva proprio un ri-montaggio dell’epilogo di Electroma. La chiave di lettura – sempre che si possa chiamare così – è servita su un piatto d’argento e, quando si tratta di puntualizzare l’ovvio, non ci facciamo certo pregare: il film del 2006 era già, di fatto, il pre-addio alle scene di Thomas Bangalter e Guy-Manuel de Homem-Christo. Due anni prima, ci aveva pensato Human After All a preparare il terreno. Il bittico epocale Homework (1997) e Discovery (2001), infatti, aveva edificato uno zibaldone retrofuturista e steam(daft)punk in cui il duo francese inglobava un passato eterogeneo e inafferrabile, l’elettronica algida dei Kraftwerk si sposava con Giorgio Moroder, la Disco anni ’70, il Pop sintetico e friabile del decennio successivo e non-campionamenti spuntavano fuori dal nulla (gli AC/DC di Thunderstruck in Aerodynamic, la tastiera Supertrampiana in Digital Love – ma sono solo due esempi -) a comporre un mosaico miracolosamente nuovo, personale e riconoscibile. Il disco successivo, però, Human After All (2005), che ha sicuramente i suoi estimatori e “rivalutatori”, si presentava come un’opera ostica e scontrosa, poco vitale, chiusa in se stessa e per certi versi solipsistica. L’approccio più rock e dopo tutto umano, però perdeva vitalità e vis comunicativa e sembrava consegnarci un duo per molti versi esaurito, sul viale di un tramonto elettr(on)ico e kitsch.

Un anno dopo arrivò Electroma che, col senno di poi, li ricapitolava e li consegnava ai posteri. Lento, dilatato e citazionista, il film è una sorta di traslazione audiovisiva del modus operandi del duo, ma virata al funereo e priva delle componenti più pop, leggere e divertenti. Perché in Electroma non c’è davvero niente di leggero e divertente ma sembra, al contrario, pensato per mettere alla prova la pazienza e la dedizione del suo spettatore, tra passaggi visivamente suggestivi e lungaggini interminabili, in cui perdersi, annoiarsi e meditare. I riferimenti, più o meno palesi, si affastellano e si accavallano senza soluzione di continuità, come nei loro dischi, ma senza niente di ludico e giocoso: c’è il Kubrick di 2001 (il paesaggio da alba dell’uomo iniziale, la stanza bianca oltre l’infinito), l’Antonioni di Deserto Rosso (il deserto rosso) e Zabriskie Point (l’esplosione pre-finale), Dumont che cita Antonioni fingendo di non saperlo (29 Palms), la provincia allucinata e perturbante di Lynch, i volti che si liquefanno come in Raiders Of The Lost Ark, ovviamente il Van Sant di Elephant ma soprattutto di Gerry, con la “teoria del pedinamento” ondivago ed estenuante, e un nucleo tematico caro a tanta fantascienza (che una volta si chiamava) adulta, con l’Intelligenza Artificiale che anela all’Umanità (ancora 2001, Westworld, Blade Runner), anche solo a livello superficiale, estetico, epidermico. Desiderio destinato a sciogliersi come neve/lattice al sole, per risolversi infine in un drammatico e disperato doppio suicidio, assistito l’uno, infuocato l’altro, sulla musica di Jackson C. Frank, I want to be alone.

Davvero impossibile, quindi, non leggere, in Electroma, un prematuro commiato dei due, con tanto di didascalia: siamo i Daft Punk, siamo stanchi di continuare a fare i Daft Punk ma siamo condannati a essere i Daft Punk. Meglio sparire. Da questo punto di vista, l’ultimo disco, Random Access Memories (2013),  suona come un’appendice (non) dovuta, un colpo di coda post mortem, un ultimo saluto in cui gettare (quasi) la maschera e mostrarsi (quasi) nudi, chiamando le cose con il loro nome (Giorgio By Moroder) e invitando i miti in carne e ossa (Paul Williams, Nile Rodgers) per confezionare il più sereno e riconciliato dei loro album, il più analogico, il più human after all. Ché tanto, ormai, la Fine era già stata scritta e filmata.