
TRAMA
L’agente della CIA Bill Pope viene ucciso e con lui muore la possibilità di conoscere i segreti di un piano terroristico di proporzioni devastanti. Per non perdere i suoi ricordi la CIA chiede il supporto del Dottor Franks che sta sviluppando una nuova tecnica scientifica, mai testata sull’uomo, in grado di trasferire la memoria da una persona a un’altra. Il prescelto è il criminale Jericho Stewart, in apparenza l’uomo meno indicato, ma l’unico adatto fisicamente per l’impianto in quanto con il lobo frontale non sviluppato a causa di un trauma infantile.
RECENSIONI
Poteva essere un onesto thriller spionistico, di quelli adrenalinici, tutti inseguimenti mozzafiato, codici segreti, missili pronti a partire, doppi giochi, agenti dediti alla causa, cattivoni dalla tortura facile, hacker fuori controllo. E in parte lo è. Ariel Vromen, però, già regista dell’interessante e sottovalutato The Iceman, pare ambire anche a creare un personaggio carismatico in grado di andare oltre il genere, capace di imprimersi nella memoria. E un redivivo Kevin Costner, invecchiato, sdrucito, fascinoso e più cattivo di come sia mai stato in passato (fatta eccezione, forse, per Mr. Brooks), sembra avallare la sua tesi. L’idea sulla carta è vincente. Prendere un attore un po’ in disuso, non scomparso del tutto ma sicuramente inciampato nei saliscendi dello star-system, sfruttare la sua presenza scenica in modo spiazzante (il volto buono dell’America prestato a un criminale pericoloso e senza morale) e renderlo personaggio tragico e iconico, a stretto confine con il mito. L’uomo gettato dal padre dal finestrino dell’auto quando era neonato, diventato “cattivo” più per destino avverso che predestinazione, che in contatto con una realtà opposta alla sua (gli viene impiantato il pattern cerebrale di un agente della Cia buon padre di famiglia) scopre una parte inesplorata di sé e diventa l’uomo che non è mai potuto essere. Ci si commuove solo a scriverlo.
La sceneggiatura di Douglas Cook e David Weisberg, però, nonostante la buona volontà di Kevin Costner, non riesce nell’impresa di abbinare la convenzionale spy-story alla dolorosa e salvifica presa di coscienza del protagonista. Troppe didascalie nel sottolineare l’evoluzione del Jericho interpretato da Costner, troppe consapevolezze spiattellate allo spettatore nel caso non capisse, troppa irrazionalità inscatolata nel buon senso, troppe svolte stereotipate e improbabili, troppi personaggi semplicemente sorvolati dallo script, ma, soprattutto, troppa mancanza di coraggio nel dare una direzione radicale agli eventi, magari rinunciando a un happy end attaccato con lo scotch in favore delle sfumature in cui potrebbe incappare un personaggio che per la prima volta ha la possibilità di sperimentare un lato meno oscuro. Viene quindi subito in mente quello che il film avrebbe potuto essere ma purtroppo non è: l’ombra schiacciante di Face / Off aleggia, si diffonde l’atmosfera perturbante di Prova schiacciante e Operazione diabolica resta in veglia dall’alto. L’assenza di approfondimento e l’incedere sbrigativo impediscono invece di dare spessore alle contraddizioni del protagonista negando quelle suggestioni che avrebbero giustamente tolto spazio alle banalità dell’intreccio. Peculiare la presenza di Ryan Reynolds, già “corpo” nell’affine Self/less di Tarsem Singh (era il ricettore della coscienza di un miliardario malato terminale), e qui invece “mente” il cui cervello si cerca di preservare. Due “mezzi” Ryan, complementari, in un’unica stagione.
