TRAMA
Adonis Creed ha tutto. Tutto quello che un atleta e un uomo possono desiderare: il titolo di campione del mondo dei pesi massimi e l’amore di Bianca, a cui chiede di sposarlo. Ma a un passo dalla felicità, il passato torna e lo sfida. Il suo fantasma ha il volto e i muscoli di Viktor, figlio di Ivan Drago, che trentaquattro anni prima ha ucciso suo padre sul ring. Sconfitto da Rocky Balboa, abbandonato dalla consorte e dimenticato dal suo Paese, Ivan cresce il figlio a sua immagine e cerca il riscatto al suo fianco. Adonis accetta di combattere contro Viktor ma Rocky non ci sta.
RECENSIONI
Tra un “Just a man and his will to survive” e un occhio della tigre, c'è di mezzo sempre Sly. Da oltre 40 anni si dipana l'eterna epopea di Rocky (e i suoi fratelli), un franchise che potrebbe andare avanti all'infinito, dalla ricetta semplicissima e che non scuoce mai: basta abbozzare i contorni di un protagonista combattivo, possibilmente solitario, e metterlo di fronte ad una sfida che abbia a che fare coi demoni personali e con quelli della propria affermazione lavorativa/esistenziale. Ogni minimo sussulto e ogni minima variazione, all'interno di questo canovaccio semplice e a tratti semplificatorio, diventano istantaneamente slanci d'autore, evoluzioni filmiche che fanno gridare alla rivalutazione e alla riscoperta (di un cineasta, di un'operazione che sembrava solo commerciale e invece no). Sylvester Stallone lo sa bene, e così la giustapposizione di ricorsi storici e ammiccamenti (talvolta un po' goffi) al nuovo che avanza produce il ritorno sul proscenio di Adonis Creed, figlio di Apollo, che all'apice della sua carriera diventa il nuovo campione dei pesi massimi. Questo trionfo ci viene presentato come un dato di fatto, praticamente nell'incipit del film, perché il trauma sta altrove, ovvero nel clamoroso ingresso in scena di Viktor Drago, erede di quell'Ivan Drago sconfitto e spernacchiato nel reaganiano Rocky IV. Non basta la cintura, gli allori non servono quasi a nulla; ci vuole una storia, qualcosa che riempia la pancia e faccia ribollire il sangue. In questo, il sottogenere del dramma sportivo fa già tutto o quasi da solo: in Million Dollar Baby (2004) di Clint Eastwood e The Wrestler (2008) di Darren Aronofsky l'epica risuona ancor prima che la tragedia spicchi il volo, per il solo motivo di esistere; mentre il meccanismo invece si inceppa ad esempio con Southpaw (2015) di Antoine Fuqua, che guardando troppo alla rappresentazione della rabbia e della vendetta senza quartiere dimentica la fondamentale empatia. In Creed II – così come in tutta la saga – l'empatia regna sovrana, ed è tutta appannaggio di Mr. Balboa, come sempre, personaggio malinconico e deus ex machina che oscilla fra il tragico e il patetico, con punte di profetismo.
Il “ti spiezzo in due” del 1985 diventa qui “mio figlio spezzerà tuo ragazzo”, ma modificando l'ordine degli addendi la somma non cambia: da quel match a oggi sembrano passate due ore, perché Drago Senior continua a portarsi appresso una ferocia e una sete di rivalsa tanto anacronistiche quanto necessarie alla drammaturgia della pellicola. In fase di sceneggiatura Sly e il carneade Juel Taylor (al suo primo importante script cinematografico) giocano tutte o quasi le carte a loro disposizione, flirtando anche con la ovvia presa di coscienza che della convenzionalità e della coazione a ripetere non ci si può privare: meglio cavalcarle, ripetendo qua e là i medesimi pattern visivi che hanno contribuito alla creazione del mito, asciugando il racconto da ogni deriva retorica (espediente che si riflette anche nella fotografia desaturata di Kramer Morgenthau) e nobilitandolo con riferimenti alti. In Creed II spicca William Shakespeare, ad esempio, e per far sì che il modello non passi inosservato viene persino reso esplicito nella telecronaca dello scontro Creed – Drago. Shakespeare è presente soprattutto nella dicotomia fra padri e figli (Apollo e Adonis, Viktor e Ivan, ma anche Rocky e Robert, il figlio che non ha seguito le orme paterne) e in quella fra solitudine e familismo, e sotto la sua egida si arriva al doppio finale, che – senza entrare nei dettagli – mette i due ex pugili di fronte al bisogno di accorciare le distanze nel nome di una rinnovata umanità. Tutto prevedibile e ampiamente previsto, chiaramente; ma è altresì indubbio che Sly stia dando ai suoi personaggi iconici (Rocky Balboa e John Rambo, ma c'è chi sogna la riabilitazione del tenente Marion Cobretti e del camionista Lincoln Hawk) una maturità e una dignità insospettabili fino a poco più di dieci anni fa. Il problema semmai è un altro: riuscirà Stallone prima o poi a farsi realmente da parte, accettando che i suoi dèi si incamminino fieramente verso il crepuscolo e verso la gloria eterna?