
TRAMA
Dopo un incidente d’auto mortale, incontra la moglie del deceduto e, con la sua compagna “scambista”, fa conoscenza di Vaughan, profeta di una setta adoratrice della carne martoriata nei sinistri.
RECENSIONI
Lontano dal gore allegorico di Brood e Il Demone Sotto la Pelle (di cui ritorna il luogo-ospedale), Cronenberg revisiona il cinema macabro-intellettuale degli esordi amatoriali (Stereo, Crimes of the Future): l’estrema, scioccante morbosità concettuale e figurativa colonizza la materia grigia dello spettatore, turba morale e coscienza attraverso le pareti rettali, la carne e gli attributi fisici. Prendendo le mosse dal romanzo di J.G. Ballard (il personaggio di James Spader porta il suo cognome), il regista riconsidera l’Ordine della Nuova Carne, modellata dalla tecnologia e dalla fusione con il metallo, allevata nella dolorosa richiesta di piacere (sessuale): la ricerca di infortuni, morte e supplizio, in quanto pratica “illecita”, è intimamente legata al godimento erotico, al fascino del proibito, alla perversione più aberrante di una fantasia/fantasma tipica dell’essere umano. Il Week end (Godard) o il The Cars that Ate Paris (Peter Weir) di Cronenberg inscena un congresso carnale dietro l’altro, speso di preferenza in macchina (estensione genitale per eccellenza), lungo superstrade come flussi di spermatozoi o termostati del desiderio (il traffico che aumenta, diminuisce) e all’apice eiaculatorio durante la “penetrazione”, cioè l’incidente, il “crash” (il “metallo” di due individui si fonde; le auto sono “personalizzate”, hanno una storia, un’anima). Non esistono frontiere, la stessa omosessualità fa parte di un gioco ancor più sadico, attirato dagli ematomi, dalle cicatrici (a forma di vulva), dalle malformazioni (Rosanna Arquette senza un seno e con le gambe di metallo), dalle mortificazioni della “polpa” (vedi l’“amplesso” fra Spader e Vaughan, che fanno combaciare le due metà del tatuaggio con il marchio della Chrysler), dalla lascivia orgiastica, dal voyeurismo patologico (foto e video sugli incidenti mortali), dal feticismo più assurdo (re-inscenare i più grandi incidenti d’auto della storia: quello di James Dean, di Jane Mansfield). La fotografia è algida, i piani sequenza conducono un intenso ritmo statico sottolineato dalla chitarra psichedelica di Howard Shore, i punti di inquadratura sono allucinati. Cronenberg non fa morale né provocazione fine a se stessa: il suo è uno schietto quanto parossistico apologo sul torbido sesso o, meglio, su ciò che per noi è torbido del sesso e per lui è un oggetto di studio scientifico come un altro. Nel binomio sensualità/orrore, veniamo posti a confronto con le nostre perversioni più recondite, con i limiti/non limiti che la nostra mente crea attorno al piacere ed i suoi tabù. Maledetto, beatamente indecente come L’Impero dei Sensi di Oshima, il cinema di Cronenberg dona catarsi violentando la mente nelle sue preconcette definizioni di Bene e di Male.
