Commedia, On Demand

COSA SARÀ

TRAMA

Bruno Salvati, regista di “commedie che non fanno ridere”, si è da poco separato dalla moglie e scopre di avere un tumore del sangue (la mielodisplasia). Ha bisogno di un trapianto di midollo ma non trova donatori compatibili, quando…

RECENSIONI

Francesco Bruni è prima sceneggiatore che regista, dove quel “prima” va inteso sia come avverbio di tempo, visto che al cinema nasce sceneggiatore nel 1991 (Condominio di Felice Farina) ed esordisce alla regia solo trent’anni dopo con Scialla!, che come avverbio di modo, perché sembra sempre mettere la macchina da presa al servizio della scrittura. Non si lascia sedurre dalla tecnica, quindi, né indulge nel movimento di macchina o nel virtuosismo. Però Cosa Sarà si apre con quello che, in qualche polveroso manuale di teoria del cinema, potrebbe definirsi un momento di enunciazione marcata, un’oggettiva irreale: vediamo inquadrato dall’alto il piccolo Bruno, un movimento di macchina a scendere lo perde, perché profilmicamente nascosto dalla chioma di un albero, per poi ritrovarlo in un piano ravvicinato ad altezza bambino. Si tratta di un momento molto cinematografico, insomma, come se Bruni volesse dirci: attenzione, è Cinema. Perché quello che verrà dopo è un film molto vero, molto personale, molto sentito che sarebbe però sbagliato avvicinare troppo ai territori dell’autobiografico. Gli intenti, e le ambizioni, sono alt(r)i.
Chi scrive è per ignorare l’autore, ovviamente in senso Barthes-iano, ossia credo che, come sostiene il noto semiologo nel suo breve saggio del 1968 La mort de l’auteur, la fruizione e l’analisi di un’opera debbano prescindere dai dati esterni all’opera stessa e che sia sbagliato interpretare un lavoro come una confessione personale. Tutti sanno che lo spunto da cui nasce il film è una vicenda del regista, il quale non fa nulla per nasconderlo: il protagonista è, per l’appunto, un regista metacinematograficamente accusato dal suo produttore di girare commedie che non fanno ridere (e Cosa Sarà non fa – tecnicamente – ridere) che si chiama Bruno Salvati, anagrammato nomen omen che con una semplice inversione vocalica diventa “Bruni salvato” (dalla malattia che lo colpisce). Ma il film, pur essendo sì opera molto personale, appare più sentito che intimo, è guidato da un’evidente urgenza espressiva che sublima il mero dato autobiografico. Cosa Sarà è un film sincero e schietto che tocca corde universali, non una confidenza che l’autore fa al suo spettatore.

Tutto il film, quindi, appare in equilibrio tra l’intimo e l’universale, tra la finzione e la realtà, tra il cinema e la vita. Subito nei primi minuti si passa dall’incipit, come si è detto, evidentemente finzionale, molto cinematorgrafico (che innesca anche un micro-racconto sospeso, parallelo ma sovrapposto alla storia principale, che non sappiamo se avrà un epilogo meno amaro di quello che immaginiamo) a un repentino cambio di registro che ci immerge in una stanza di ospedale. Con poche inquadrature e pochi dettagli veniamo calati in quella realtà fatta di luci soffuse ma fredde e sembra quasi di sentire l’odore di qualche composto chimico e di qualche medicamento, immersi in quell’atmosfera sospesa da qualche parte tra l’asettico e il malsano che si respira solo in ospedale, dove anche l’aria sembra avere un sapore complesso, fatto di contraddizioni.

Questa stessa virtuosa convivenza tra l’intimo e il generale emerge anche nella caratterizzazione dei personaggi, da sempre uno dei tratti più caratteristici del Francesco Bruni sceneggiatore. La cosa che si è sempre imposta con chiarezza adamantina in tutti i film scritti (e diretti) da Bruni, infatti, è l’amore per i personaggi e  per l’umanità, con la U iniziale insieme maiuscola e minuscola. In Cosa Sarà, due mi sembrano gli esempi più chiari di quello che sto cercando di dire, da collocare forse ai lati opposti dello spettro: la Dottoressa Paola Bonetti e Fiorella. La Dott.ssa Bonetti è il personaggio più esemplare, la reificazione (so che sto usando il termine un po’ a sproposito e me ne scuso) di un concetto, ossia quello che noi ci vorremmo aspettare da un medico e dalla medicina, specialmente nei momenti difficili: la competenza, la serietà, un’umanità che non diventa pietismo e condiscendenza ma che rimane sempre ancorata alla sincerità e al rapporto aperto tra medico e paziente. Quello che vorremmo tutti quando ci interfacciamo con una persona/istituzione alla quale affidiamo letteralmente la nostra vita e della quale, quindi, ci dobbiamo fidare. Da questo punto di vista, Raffaella Lebboroni è chiamata a un compito difficile, ai limiti dell’ingrato, che però riesce ad assolvere benissimo, essendo capace di infondere umanità, personalità e sfumature a un personaggio che sembra voler veicolare un’idea piuttosto precisa.
Poi c’è Fiorella (una Barbara Ronchi perfetta), la sorella di Bruno, personaggio che, come si diceva una volta, “andrebbe fatto studiare nelle scuole (di cinema)” per far capire come si fa a trasmettere empatia (rectius: amore incondizionato) per una caratterizzazione. Ci incuriosisce fin da quando la sentiamo nominare e abbatte le nostre difese cinico/immunitarie dal primo momento in cui viene inquadrata. Da quel punto in poi siamo davvero (con) lei, che diventa di fatto la protagonista, capace di lasciar intravedere in ogni sguardo e parola un vissuto ignoto eppure chiarissimo, accaparrandosi con decisa dolcezza lo scettro di personaggio più sfaccettato, completo e complesso di tutto il film.

Gli unici appunti che saremmo tentati di muovere a Cosa Sarà riguardano la pur ottima interpretazione di Kim Rossi Stuart, bravissimo nei momenti più drammatici e intimi(sti) ma meno a suo agio quando dovrebbe alleggerire i toni e virare alla commedia, e alcuni passaggi in cui il film sembra troppo scritto e fa affiorare il telaio della sceneggiatura (si veda il dialogo chiave padre-figlia, eccessivamente scoperto nella sua progressione drammatica), ma si tratta di lamentele da vecchio brontolone, ché la prova di Kim Rossi Stuart merita solo elogi e accusare il dickensiano Francesco Bruni di esagerare con la scrittura è un po’ come lamentarsi dell’eccessiva velocità degli assolo di Eddie Van Halen.
Per chiudere, come abbiamo già scritto, Cosa Sarà è una commedia che non fa ridere. Non fa ridere perché fa molto di più: strappa sorrisi amari e preziosi e fa versare lacrime di speranza.