Commedia, Recensione, Thriller

COMPLOTTO DI FAMIGLIA

Titolo OriginaleFamily plot
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1976
Durata120’

TRAMA

Una finta veggente e il suo complice avranno in premio $10.000 se ritroveranno il rampollo della facoltosa famiglia Rainbird, scomparso anni prima. Intanto, una coppia di rapinatori è riuscita a farsi dare come riscatto un prezioso diamante.

RECENSIONI

Poco riuscita e amata (anche dal botteghino) ultima pellicola diretta dal grande maestro inglese: contiene solo una sequenza davvero notevole, quella della corsa in macchina senza freni (in tutti i sensi), colma d’ironia (anche) misogina, con Barbara Harris che ostacola in continuazione il guidatore. Per il resto, la suspense si stempera nella commedia e viceversa, restituendo un thriller diligente e una farsa mediamente spassosa: lo sceneggiatore Ernest Lehman adatta il romanzo “The Rainbird pattern” di Victor Canning (scrittore che il regista aveva già sfruttato nella serie “Alfred Hitchcock presenta”), ma non assicura la giusta verve alle due anime della pellicola, pur avendone facoltà (autore di Intrigo Internazionale: thriller; e Sabrina: commedia). Forse a causa di un (per lui) inusitato ricorso all’improvvisazione attoriale, anche Hitchcock dirige mancando ritmo e meticolosità: a volte incespica nella prevedibilità, altre è oltremodo lacunoso (dimentica di ben spiegarci, ad esempio, perché il personaggio di William Devane diede alle fiamme la casa dei genitori adottivi e ora ruba diamanti). Indovinata invece l’idea di due coppie criminali, speculari, che fanno correre il plot su binari paralleli e giocano entrambe con la “finzione”: grazie ai due bravi interpreti, il tandem Barbara Harris/Bruce Dern è quello che funziona meglio, l’altro (Karen Black/William Devane), vestito più di “giallo”, è meno interessante, in salsa Eva Kent/Diabolik. Con gli immancabili ammiccamenti sessuali, in assenza di virtuosismi (drammaturgici, di montaggio, di ripresa), svetta su tutto l’umorismo macabro: conscio o profetico che sia, Hitchcock non fa che reiterare la visione del luogo “cimitero”, per scaramanzia, esorcismo o (più probabile, conoscendolo) lugubre menefreghismo. Il noto cameo: la silhouette dietro la vetrata dell’anagrafe.