TRAMA
1937: la moglie ingaggia l’investigatore privato Jake Gittes per sorvegliare il marito, ingegnere per il dipartimento Idrico ed Energetico losangelino. Le prove della sua infedeltà finiscono sul giornale, la vera moglie dell’ingegnere minaccia di fare causa all’investigatore che è stato incastrato, l’ingegnere viene trovato morto.
RECENSIONI
Uno dei migliori film polizieschi/noir mai realizzati: la sceneggiatura di Robert Towne, ispirata a diatribe di inizio secolo sull’acqua pubblica in California ed allo stile chandleriano, dipana una trama gialla con forti motivazioni perverse sottese e talmente intricata (degna de Il Grande Sonno) da suonare le corde giuste del regista polacco, al suo ultimo film americano. Roman Polanski chiede una riscrittura (e scrive di suo pugno l’inatteso finale), calibra magistralmente il detto/non detto per fomentare il mistero senza perdere le fila del racconto, dirige interpretazioni perfette, soprattutto nelle figure archetipiche del detective privato (Jack Nicholson, presente in ogni scena), della femme fatale (Faye Dunaway) e del villain (John Huston, regista che, non a caso, il noir lo ha “inventato” con Il Mistero del Falco). Il suo noir è anche un sublime omaggio, con ricostruzione di un genere-epoca anni trenta e quaranta, all’universo di Raymond Chandler (la sua Los Angeles) e Dashiel Hammett, quello dove eroi stanchi ma caparbi oppongo l’ultima resistenza ad un mondo corrotto e in sfacelo. Sia il privato, con melodramma familiare e scandali, sia il pubblico, fra oligarchie e connivenze criminali fra politica e poteri economici, soffocano il protagonista che lotta strenuamente, anche con un piglio risoluto e volitivo che (alla luce dei risultati ottenuti) fa sorridere. Jake Gittes gira per gran parte del film, simbolicamente, con un naso ricoperto da cerotto, ed è una pedina inconsapevole mangiata nella scacchiera: la sardonica amarezza polanskiana è fatta. Jack Nicholson dirigerà il seguito nel 1990, Il Grande Inganno.
