
TRAMA
Sono passati tre anni da quando Aldo, Giovanni e Giacomo hanno rotto il sodalizio anche professionale che li legava. Una notte, Giacomo si presenta alla porta di Giovanni: Aldo è in fin di vita…
RECENSIONI
Eccoci di nuovo a parlare del "fenomeno comico" delle ultime stagioni, dei tre "uomini d'oro" del cinema italiano, che forse si sono stancati di essere solo una macchina da incassi (un ruolo tutt'altro che disprezzabile, beninteso). Al terzo lungometraggio, dopo un esordio divertente quanto ancorato alla loro formazione teatrale e televisiva e lo scivolone di un'opera seconda ruffiana e pretenziosa, i nostri, sicuri di poter contare sull'appoggio quasi incondizionato del pubblico, appaiono desiderosi di girare un vero film, lontano, se non dagli schemi, almeno dai personaggi per loro abituali. Come "Tre uomini e una gamba" e "Così è la vita", "Chiedimi se sono felice" è un road movie (in treno) in cui lo spostamento da Milano verso il sud è in realtà un ritorno alla dimensione più autentica della vita. Dei film precedenti restano gran parte del cast tecnico ed artistico, l'importante ruolo giocato dalle musiche (scritte in questo caso prevalentemente da Bersani) e ovviamente la magica alchimia del gruppo, che questa volta deve affrontare una doppia incognita, costituita dalla commedia adulta, spruzzata di dramma, e dal meccanismo del teatro nel teatro. La vita imita l'arte e viceversa: Aldo è alle prese con la petulante fidanzata (la buffa e spigliata Silvana Fallisi, signora Baglio nella vita), la quale sogna di interpretare Rossana, amata da Cristiano e Cyrano, rispettivamente Giovanni e Giacomo, divisi dalla graziosa hostess Marina (la solita, irresistibile Massironi, ex moglie di Poretti): la soluzione di un intreccio simile non potrà che avvenire in un luogo consono, in cui potrà avverarsi la profezia del prologo (citazione apparentemente pedissequa di "Viale del tramonto" e "American Beauty"). Le battute, finalmente, fanno parte del racconto, le gag visive (l'insegna luminosa) funzionano come quelle verbali, non c'è un gesto superfluo, un istrionismo gratuito, una frase poco felice, le battute sono memorabili (vedere per credere la sequenza della cena a sei), i paradossi (ad esempio le "testate" di Aldo) dotati di una leggerezza miracolosa. C'è nell'aria un "grande freddo", l'atmosfera è tranquilla e malinconica, gli scenari (il capannone abbandonato, il paesino siciliano) lirici ma non stucchevoli, gli esterni addirittura irreali (le vie di Milano deserte, i treni italiani in orario): l'insieme risulta un po' troppo inamidato, ma per fortuna non manca l'ironia (Aldo, voce narrante, ad un tratto si meraviglia di non avere sbagliato neppure un congiuntivo). Il film mette in mostra l'argenteria anche nella scelta delle inquadrature e nel montaggio: abbondano movimenti di macchina complessi e ammalianti, carrelli, riprese dall'alto, zoom, panoramiche, mentre le luci ritagliano lo spazio in maniera inaspettatamente raffinata e scorrono sullo schermo immagini quasi espressionistiche (la pallina sul piano inclinato). Rispetto a "Così è la vita", lo script sceglie un numero di argomenti più limitato ma li approfondisce con maggiore finezza: la forma dovrebbe essere un esempio per tanti "autori" nostrani che si lamentano di non avere una distribuzione internazionale. Ed è un peccato che le mille piccole storie dei personaggi siano solo abbozzate, molti passaggi poco credibili (la riconciliazione improvvisa), spunti potenzialmente ricchissimi (le scappatelle di Aldo) buttati via. Forse si voleva evitare una durata "eccessiva" (l'italiano medio, si sa, non resiste più di due ore al cinema, a meno che il film non abbia vinto dieci o quindici Oscar): se è così, non si potevano tagliare le comparsate di routine, come quelle di Battiston (sì, è quello di "Pane e tulipani") e del solito Catania (ormai condannato al ruolo di poliziotto)? Tra i rimpianti, un (ulteriore) motivo di felicità: la particina affidata a Paola Cortellesi, Mapi e Daria "Regan" Bignardi per la Gialappa's.

I magnifici tre ce l'hanno fatta anche questa volta: giungono al traguardo del terzo film conservando intatto il favore del pubblico, ma anche la dignità. Non si può dire : "non hanno già più nulla da offrire". La storia è, effettivamente, molto semplice e banale, ma quel che conta di più è come un intreccio viene portato avanti. Il trio sa farlo con leggerezza, senza mai annoiare e regalando ancora quella comicità spontanea ed irresistibile che ritaglia al pubblico una parentesi di puro divertimento. C'è da notare una maggiore cura registica, segno innegabile di crescita, ed un grande talento nella scelta e nella direzione del cast (rodato ma inattaccabile, a cominciare dalla Massironi).
A sottolineare la vena malinconica e romantica del trio (che già aveva fatto capolino, brevemente, nei film precedenti) le canzoni agrodolci di Samuele Bersani, di cui è stato saccheggiato l'intero repertorio, con una intuizione felice.
Tre uomini e una gamba faceva ridere di più, ma era soprattutto la trasposizione delle più riuscite gag teatrali, perfezionate negli anni, Chiedimi se sono felice è invece un vero film. E il suo pregio maggiore rimane il fatto che osservando i tre comici che interpretano tre amici si sente immediatamente che stanno recitando solo in parte: sono veramente tre amici, del genere più comune e vero. E come se non bastasse sono tre antieroi imperfetti e amabili con una vita fatta di sogni infranti, sorrisi, difficoltà, slanci. Come tutti.
