TRAMA
Un ex acrobata di aerei rapina una banca non sapendo che i soldi che ha rubato appartengono alla mafia. Con intelligenza riuscirà a beffare sia la polizia, sia la mafia.
RECENSIONI
Don Siegel, nel 1974, ha realizzato uno dei suoi capolavori, un poliziesco "definitivo" che dice l'ultima su un genere che, inaridendosi, andrà a dissolversi nelle anonime serie televisive degli anni settanta ed ottanta. La storia, simile a molte altre ("Getaway" e "Gangster Story", solo per citare film dello stesso periodo), si fonda sullo schema figurale del genere poliziesco (rapina-contrasti interni al gruppo dei rapinatori-inseguimento della polizia-scontro e scioglimento finale) ma ha almeno due assi nella manica che lo rendono unico. Il primo è Walter Matthau, il quale, smessi i panni del burbero benefico di tante irresistibili commedie, si cala alla perfezione in quelli di un anti-eroe geniale, infallibile, capace di riordinare le trame imbrogliate che costituiscono il cuore malato della società americana, di uscire indenne dal caos del senso donando, ai rivali sconfitti e a noi spettatori rimasti allibiti da tanta astuzia, un sardonico, raggelante sorriso che ci seppellirebbe se non lo fossimo già. E' l'uomo che sa con chi ha a che fare; è una mente raffinata che si fa beffe sia di una polizia che sembra, in quanto a logica e ragionamento, non aver superato la quinta elementare, sia di un sicario assetato di sangue al soldo di un potere affamato d'argent. Charley ha perso ogni fiducia nell'uomo (come forse Siegel) e ha lasciato il suo cuore, la sua umanità, nella macchina fatta saltare in aria sulle colline; l'ultimo e unico senhal d'amore in un film-mondo dominato dal doppio gioco, dall'astuzia, dalla lotta, dal denaro, è un ultimo bacio dato alla compagna di scorribande, morta prima del tempo, destinata a divenire cenere sparsa sullo scheletro di una macchina e a lasciare di sè solo un'imperitura dentatura fresca di restauro.
L'altro asso nella manica è sicuramente la sceneggiatura perfettamente congegnata, in grado di regolare con astuzia il flusso delle informazioni diegetiche grazie ad un efficace gioco di pieni e di vuoti, di ellissi, che fanno si che lo spettatore non finisca mai di meravigliarsi delle trovare della vecchia volpe Varrick Questo di Siegel, stilisticamente segnato dalla prevalenza di inquadrature oblique (di solito l'opera viene citata nei manuali di cinema soprattutto per questo), è soprattutto un elogio dell'intelligenza che forse solo nel cinema si trava gratificata da un successo. Solo nel cinema, nell'arte in generale, essa, nella dura battaglia per la sopravvivenza (o per la sopraffazione) sembra avere la meglio sulla legge della forza (perseguita qui, senza dilemmi morali, dal terribile sicario della morte). La volpe Varrick, non dissimile dal Renart dell'omonimo roman (dunque tutt'altro che uno stinco di santo), sconfigge, nella fictio cinematografica, il leone. Visto che il Bene non può più trionfare, facciamo almeno che trionfi l'intelligenza...
Dopo Ispettore Callaghan: il caso "Scorpio" è Tuo!, previo rifiuto di Clint Eastwood (per altro citato) che non trovava appigli morali nel personaggio protagonista che avrebbe dovuto interpretare, Don Siegel ingaggia Walter Matthau nel ruolo di Charley Varrick e il suo piccolo, “sporco” film cambia volto, adottando l’impassibilità minimalista dell’animale pragmatico che deve sopravvivere (vedere la sua reazione alla morte della moglie), stretto fra forze dell’ordine e criminalità organizzata. Il protagonista è circondato da un sottobosco di figure disturbate (su tutte, svetta il brutale, sessista e razzista killer della Mafia di Joe Don Baker) che ha fatto la felicità di Quentin Tarantino (ne ha tenuto conto per il suo Pulp Fiction). Adattamento di Dean Riesner e Howard A. Rodman di un romanzo (“The Looters”) di John H. Reese, è un thriller criminale che, mentre inscena una serrata battuta di caccia con la volpe che non le manda a dire, inietta in ogni dove anche acide dosi di umorismo, fino a un finale a sorpresa, previo memorabile duello fra biplano e macchina modificata. Pupillo della critica, non del pubblico che non andò in sala.