Commedia

C’ERA UN CINESE IN COMA

TRAMA

Un manager dello spettacolo di media categoria si ritrova senza un suo comico mentre il pubblico attende; per rimediare manda il suo autista alla ribalta: nasce così una stella ‘sexy-comica’ destinata al successo e a mandare in rovina quello stesso uomo che gli ha consentito di sfondare.

RECENSIONI

È forte la tentazione di liquidare questo film definendolo l'ennesima variazione sul tema "è nata una stella", con rimpianti ed ingratitudini a grappoli. Ma "C'era un cinese in coma" lascia, per qualche ragione, stupiti e un po' turbati. Sarà la rinuncia al finale lieto (anche se la trovata finale è un colpo di genio comico, quasi un ritorno agli esordi cabarettistici), la struttura narrativa più libera che nelle opere precedenti (niente storia d'amore obbligata e niente superflui paesaggi esotici), o forse la sensazione che, finalmente, il regista si preoccupi più della sceneggiatura che delle battute, realizzando una commedia quasi seria, ben poco "da ridere" al di là di qualche momento francamente scontato (il concorso di bellezza, la serata in albergo) e di pochi colpi azzeccati (le audizioni), concentrata sui personaggi, o meglio, sull'unico vero personaggio, quello dell'impresario, intorno al quale ruotano l'ex autista ora divo, la moglie, la figlia, gli artisti dell'agenzia: sta di fatto che questa requisitoria contro la comicità senza gusto, il divismo senza stile e le relazioni senza cuore dei nostri tempi volgari, potenzialmente ad elevato rischio di noia e moralismo, suona spaventosamente sincera, tanto da assicurarci che l'autore ed il personaggio siano la stessa persona, e non poco coinvolgente (e ce n'è anche per la critica dal linguaggio marziano e dai facili e risibili paraventi "culturali"). È Verdone il professionista stagionato ma ancora entusiasta del suo lavoro, che guarda con malinconia e silenzioso sarcasmo le nuove leve, è Verdone quello con la faccia da povero idiota che sembra nato per essere vittima degli scherzi del destino e dell'ultimo venuto, arrogante e "dannato" (singolare l'analogia con "Perdiamoci di vista", in cui la vita professionale del conduttore TV Gepy veniva sì disintegrata dalla giovane Arianna, ma per essere poi dall'amore di e per lei). Ed è sempre Verdone quello che, alla fine, vince, perché la sua forza sta nelle regole, quelle che oggi non sono rispettate forse perché sconosciute (l'unico artista "onesto" è il vecchio prestigiatore Tiepolo). Per così dire, "C'era un cinese in coma" dichiara in modo perentorio quello che "Iris Blond" aveva solo accennato: qui, la rappresentazione del conflitto generazionale, a livello sia artistico (con Nicky) sia familiare (con la figlia), è cruda, non stemperata dalla tenerezza indulgente di Romeo per la fedifraga Iris. Un'opera amara, in sottotono ma non fiacca, testimonianza della vitalità di un autore/attore che non ha nessuna voglia di fare largo ai giovani. E non fa bene, fa benissimo, perché ha ancora parecchie frecce al suo arco e, in ogni caso, i degni successori (sia come comici, sia come registi) latitano.