Supereroi

CATWOMAN

Titolo OriginaleCatwoman
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2004
Genere
Durata104'
Tratto dadai personaggi di Bob Kane
Montaggio
Scenografia

TRAMA

La timida Patience Prince, grafica in una grande casa di cosmetici, scopre che il nuovo prodotto anti-età di imminente distribuzione ha pericolosi effetti collaterali. Il segreto di cui è venuta involontariamente a conoscenza la porterà a morire, ma grazie ai poteri conferiteli da un misterioso e potente felino, rinascerà come Catwoman, una donna intuitiva, forte e agile come un gatto.

RECENSIONI

Dopo gli ammiccanti titoli di testa, che mescolano alla rinfusa secoli di storia nel vano tentativo di creare un'atmosfera, veniamo trasportati all'interno di una grande azienda di cosmetici: c'è il capo cattivissimo, la moglie, bellissima testimonial spodestata dalla modella giovanissima, l'impiegata, bravissima ma imbranatissima. La serie infinita di superlativi fa sorgere spontanea una considerazione: "mamma mia, che personaggi da fumetto!". Immediatamente arriva la contro-considerazione: "Ma siamo in un fumetto! O, perlomeno, dovremmo esserci!". È questo il problema fondamentale del film. Nonostante l'ingente sforzo produttivo, i sofisticati ed efficaci effetti in computer grafica, la determinazione della protagonista, la perizia scenografica, la cura per tutto ciò che riempie il perimetro dello schermo, sembra sempre di essere sul set di un videoclip delle Spice Girls e mai e poi mai in un mondo di fantasia, con radici nel quotidiano, dove tutto è possibile. Non è un caso che una delle sequenze più riuscite sia la sfida a basket tra i due protagonisti, che con i fumetti non c'azzecca per niente, mentre non sfigurerebbe come spot per pubblicizzare una bibita iper-vitaminica. La colpa maggiore è della disastrosa sceneggiatura, che abbozza una storiella esile esile piena stipata di buchi logici, personaggi, anche di contorno, che definire stereotipati sarebbe lusinghiero (su tutti l'amica cicciona mangiauomini e il collega gay, giuro!), un "girl power" virato in "black" di disarmante superficialità (la donna è gattina e birichina) e battute sdrammatizzanti di insopportabile banalità. Ma anche la regia di Pitof, nato come supervisore agli effetti speciali (e si vede) e alla sua seconda prova dopo "Vidocq", appare incerta sul taglio da dare al racconto: l'ambientazione vorrebbe essere realistica ma appare minata dai luoghi comuni e dalla spada di Damocle dell'aggettivo "cool", e le iperboli fumettistiche godono di qualche bella coreografia nei combattimenti e di una innegabile competenza tecnica, ma soffrono della totale assenza di magia. Con il risultato che lo spettatore finisce per trovarsi spaesato senza provare il benché minimo interesse per i personaggi, mai davvero problematici: il conflitto dell'eroina tra il proprio essere animale e le regole civili in cui è immersa è più volte accennato, ma senza alcun successivo approfondimento; l'inevitabile colpo di fulmine tra i due belli non trova ostacoli (il pepe di ogni storia) che non siano risolvibili nel giro di cinque minuti. Tutto, insomma, avviene meccanicamente e senza un reale perché. Quanto agli interpreti, Halle Berry sembra crederci molto, più a suo agio in latex nero (anche se la sensualità è altrove) che non nei panni tapini e gesticolanti della disegnatrice Patience; sempre, comunque, poco simpatica. Sharon Stone, in versione Crudelia De Mon del nuovo millennio, cerca un rilancio in grande stile ma continua a sbagliare film e il belloccio Benjamin Bratt prova soprattutto a scrollarsi di dosso il titolo di ex di Julia Roberts. Non facile, in ogni caso, dare spessore a personaggi che non ne hanno. E così tra riprese grandangolari, impossibili punti di vista e il più che trito motore narrativo della vendetta, le immagini patinate si succedono senza mordente, con il "terribile" sospetto che anche il teen-ager, come al solito primo destinatario, trovi pochi appigli, oltre ai pop-corn, per divertirsi. E infatti il film arriva in Europa alla ricerca di un riscatto dopo i deludenti incassi d'oltreoceano, capaci a malapena di coprire le spese promozionali e l'ingaggio della Berry.

Che il (fintamente) fantomatico Pitof prediliga la poetica - se così vogliamo chiamarla - dell'accozzaglia privilegiando un'estetica (sovr)abbondantemente videoclippara appare chiaro e pleonastico come la più scontata delle osservazioni di Monsieur De La Palisse; che la progettualità di un fare cinema che insegua il clamore suscitato dalla trasposizione di registri linguistico-espressivi rincorra più l'onda modaiola che un'autentica esigenza di esprimersi artisticamente non pare faccia una piega e che dunque i 'fumettoni' corroborino la (neanche troppo) provocatoria idea che il cinema sia un sublime elogio dell'inutilità. Fatto sta che questo Catwoman risulta davvero di una banalità sconcertante nel limitarsi alla sinuosità teriomorfa di Halle Berry come unico espediente che faccia funzionare gli ingranaggi di tale oramai abusato genere cinematografico. La flessuosità dei corpi danzanti computergraficamente della Berry e della Stone imbrigliati da una coreografia troppo volutamente videogameistica non restituiscono neppure alla lontana le atmosfere notturnamente noir delle strisce di Bob Kane. Indubbiamente non erano neanche questi gli intenti, è evidente; anzi si nota anche un tentativo di 'macfarlandizzare' nello spirito e nel tratto formale il personaggio di Catwoman, rendendolo ancor più contraddittorio e attuale, cercando pure, a livello di script, di andare a pescare nell'immaginario storico-mitologico le radici simboliche di una felinità che nelle mani di Pitof e dei suoi sceneggiatori diviene ozioso luogo comune (se poi i doppiatori italiani preferiscono le simbologie canine e si limitano nella loro aurea ignoranza a lasciare la versione inglese della dea egizia Bastet il fumetto tende a divenire pletorico fumo negli occhi).
La chicca che il regista si (/ci) concede omaggiando il precedente pfeifferiano/burtoniano (tutt'altra pasta (pellicolare), tutt'altra storia) non serve ovviamente a risollevare le sorti di questa (ennesima?) sciocchezza pitofiana.