Commedia, Recensione

CADO DALLE NUBI

TRAMA

Il pugliese Checco sogna da sempre di avere successo come cantante: quando la fidanzata lo lascia perché privo di lavoro, si trasferisce a Milano per provare a sfondare, ospite del cugino gay.

RECENSIONI

L’esordio cinematografico del zelighiano Luca Medici alias Checco Zalone (dialetto barese: cozzalone significa cafone), complice il “suo” regista storico Gennaro Nunziante (insieme dai tempi di Telenorba per programmi come “I Sottanos” e “Fuori controllo”), è stato, a sorpresa, un grande successo grazie al passaparola: è piaciuto questo candido sgrammaticato, cafone dentro che alza orgoglioso la bandiera con scritto “Ignorante è bello” o “L’ottusità è vincente”, fino a far perdere del tutto credibilità al racconto (la bella che s’innamora dell’ultimo: ricorda le egocentriche storie fuori dal mondo di Francesco Nuti). A irritare non è l’apologia al ribasso, ma la tracotanza dell’apologia, in quanto Checco non è altruista e di cuore, un contraltare che potrebbe rendere accettabile il suo analfabetismo mentale: è presuntuoso, competitivo, senza savoir-faire (quando vince il concorso canoro, caccia malamente l’avversario). Non ottiene il successo per perseveranza ma per ostinato solipsismo che non ascolta mai i feedback e le esigenze di chi lo circonda. Sin dalle prime battute si autoincensa da sfigato in cerca di tenerezza, autoassolvendosi da tutto e il film, in modo allucinante, punta più sulla compassione e il sentimentalismo che sulla commedia divertente, per altro giocata quasi esclusivamente sulle canzoni illetterate e insensibili di Checco (neanche così trash o feroci), eseguite nei luoghi meno opportuni. Inutile spiegare a Checco Zalone che i grandi comici e giullari indossano le maschere che additano. Quelli più geniali, poi, riescono a stare in bilico fra critica e compiacimento. A parte questo, è la solita, ruffiana favoletta all’italiana sull’inseguire il sogno, colma dei peggiori ammiccamenti (ma a chi? Ad un pubblico che s’immedesima? Davvero?), molto in voga negli anni ottanta ma pervicacemente inseguita anche da Leonardo Pieraccioni.