TRAMA
Bruno Davert è dirigente in una fabbrica per la lavorazione della carta: licenziato dopo 15 anni di instancabile impegno per l’azienda, si ritrova a cercare lavoro invano per ben tre anni. Sarà a questo punto che deciderà di cambiare strategia: comincia a uccidere tutti i possibili “avversari”.
RECENSIONI
Riecco Costa-Gavras, dopo il controverso Amen sulle connivenze tra Chiesa e nazismo, che si tuffa nel mercato del lavoro del nuovo millennio: flessibilità, delocalizzazione, disoccupazione, omicidi. Intavolato su un’unica trovata angolare – fin dall’obliquo crepuscolo iniziale – l’opera si distingue rispetto alla filmografia di genere: non sventola il teorema di fondo di alcuni Loach (tranne con la filippica di Bruno nello studio del consulente di coppia, la sequenza in assoluto più sbagliata), non ricalca il poderoso dramma di un Cantet (le risorse ci sono, ma sono rigorosamente disumane). Le Couperet (letteralmente: la scure) si arma di disperata ironia e, rimboccatosi le maniche, prosegue orgogliosamente per la sua strada. Certo, in alcuni passaggi la semplificazione è evidente: il nido famigliare del protagonista è un cocktail di stereotipi (dalla moglie infedele al figlio malandrino) ma zuccherato a dovere, le vittime di Bruno sono nudi tasselli di una galleria di caratteri ma spesso irresistibili (il dialogo nel fast-food con la terza vittima), il “sogno” di lavoro si chiama Arcadia, il match point finale salva capra e cavoli per infondere senso compiuto. D’altronde i pregi del film di Costa-Gavras, che ben addomesticano la mano altrove pesante dell’autore, si offrono come un dito nella piaga del contemporaneo: da qui l’elemento della televisione, che invade puntualmente il focolare domestico, da qui i paradossali manifesti pubblicitari che costellano ogni angolo del film, firmati dalla mano di Oliviero Toscani (dita piene di anelli, cellulari infilati nel tanga) che conferma il sodalizio di vecchia data con il regista. Bruno si ribella, giustamente si infuria e la sua parabola manda il sapore dell’eversione: l’uomo è sempre homini lupus, chi oggi mangia domani verrà divorato. Ironia amara, squarciata da lampi di tristezza, fulmini surreali: un’unica idea, certo, ma che alla fine funziona.
Lo slasher politico secondo Costa-Gavras: come un qualsiasi Venerdì 13, il protagonista di José Garcia (un volto troppo sgradevole e ombroso: scegliere un interprete che potesse ispirare più simpatia, avrebbe opportunamente innestato un’ambigua dinamica dell’immedesimazione) uccide, una dietro l’altra, le vittime designate, con imprevisti alla Come fare Carriera...molto disonestamente di Jan Egleson e con il tema della disperazione da disoccupati di Mad City. Tornato in Francia, il regista si fa produrre dai Dardenne e approccia il thriller d’autore/politico/scottante con fare sottotono e asciutto come agli esordi (rinnovandoli, però, nella vena sardonica), ispirandosi al romanzo “The Ax” di Donald E. Westlake (che ha un cameo) e scritturando come attore anche John Landis. Il suo vero tocco di classe, però, è stato quello di mantenere tutto sul filo del realistico e/ma grottesco: se i contrattempi sono anche buffi, l’azione del protagonista resta sempre inquietante e le morti brutali e/o assurde. La sceneggiatura fa dell’opera un pamphlet contro il sistema economico capitalistico che crea disoccupazione, aspettative, frustrazione e, in modo sagace, infila il tema “crisi” in bocca a tutti i personaggi, sempre collegati ad un parente o un conoscente licenziato e in vana ricerca di nuova occupazione.