TRAMA
Nel 1969, Henry Brubaker è il nuovo direttore del carcere di Wakefield: vuole scoprire dove si annida la corruzione fra i suoi colleghi e se ci sono maltrattamenti dei prigionieri. Per farlo, si finge un detenuto.
RECENSIONI
L’allontanamento di Bob Rafelson, che filmò solo alcune scene, ha dato la possibilità a Stuart Rosenberg di regalare un secondo capolavoro al filone carcerario dopo Nick Mano Fredda, con quel Paul Newman che, insieme a Robert Redford, ha rappresentato a lungo la nuova Hollywood dei belli ribelli impegnati. Un’opera appassionante, dove l’eroe ritratto (ispirato alla figura di Thomas O. Morton e allo scandalo del sistema penale dell’Arkansas del 1967) è il paladino del Giusto in un mondo corrotto, un incorruttibile con coraggiosa determinazione di fronte a muri insormontabili e palesi ingiustizie del Potere: esaltante. Volutamente, la sceneggiatura di W. D. Richter (Vecchia America) è più un pamphlet, una summa di valori progressisti, piuttosto che uno studio caratteriale e psicologico: ogni figura ritratta fa da testimonial di una situazione, di una stortura o meno del Sistema, non rappresenta se stessa, e Brubaker è il catalizzatore di ogni ingiustizia e maltrattamento possibile. Redford, praticamente, è di nuovo Il Candidato in un altro, amaro film sull’impossibilità dell’agire etico e senza compromessi.