Azione, Thriller

BROOKLYN’S FINEST

Titolo OriginaleBrooklyn's Finest
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2009
Durata132'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Eddie, Sal e Tango sono tre insoliti poliziotti, ciascuno in lotta con i propri demoni, che lavorano nel Distretto 65, una delle zone più pericolose a nord di Brooklyn. Al quarantenne Eddie rimangono solo sette giorni prima di andarsene in pensione. Depresso e disilluso, cerca conforto nell’alcol e in una giovane prostituta. Sal lavora nella squadra antidroga e lotta per arrivare a fine mese. La moglie incinta ha problemi di salute e sono troppi in casa. Tango ha passato anni a lavorare sotto copertura come spacciatore, incluso un anno in carcere, e la moglie sta chiedendo il divorzio. Questi tre poliziotti non sono mai destinati a incontrarsi, finché una notte un blitz antidroga li conduce nello stesso fatale luogo a nord di Brooklyn dove si libera l’inferno.

RECENSIONI

Il mondo è brutto, sporco e cattivo. Oltre alla realtà, ce lo ricorda costantemente l’arte in tutte le sue declinazioni. Antoine Fuqua rinnova il suo contributo, dopo il riuscito Training Day, attraverso un’opera che ha più di un’affinità con il predecessore. Perdete ogni speranza o voi poliziotti che lavorate nel 65° Distretto di New York, sembra dire Fuqua, e con lui lo sceneggiatore Michael C. Martin (ex-dipendente della metropolitana diventato scrittore a causa di un incidente automobilistico che gli ha lasciato molto tempo a disposizione): corruzione a tutti i livelli, violenza continua e insostenibile, forti pressioni psicologiche, nessun valore per la vita umana, insoddisfazione professionale, vita privata annullata. Lo sguardo di Fuqua si fa triplice soffermandosi ora su un poliziotto a una settimana dalla pensione, ora su un giovane dell’antidroga stritolato dai debiti con già tre figli e altri due gemelli in arrivo, ora su un agente che lavora sotto copertura infiltrato in una gang di spacciatori. Tutti disperati, depressi, rancorosi e poco fiduciosi in una svolta risolutiva. Ma a chiarire le intenzioni basta il prologo, abbastanza scontato nella conclusione a cui giunge ma comunque efficace, in cui un malavitoso dichiara come "non si tratta di decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma cosa è più giusto e cosa più sbagliato". La tensione è costante, un senso di morte aleggia su ogni personaggio; mentre il quadro prende forma la speranza non può che vacillare e, anche se tutto suona visto e stravisto, è indubbia la professionalità dell’impianto e la capacità di creare un’atmosfera plausibile di desolazione morale e pericolo imminente. Rispetto a Training Day (inevitabile il paragone visto il tentativo di sondare ombre e ambiguità di chi dovrebbe garantire il rispetto della legge, e c’è pure una recluta al primo giorno di servizio, e anche Ethan Hawke nel cast), la suddivisione in tre differenti percorsi narrativi destinati a incrociarsi nel cruento finale e una certa verbosità determinano un’inevitabile dispersione che si tramuta in minore mordente. Interpreti tutti adeguati, dal disilluso Richard Gere, allo schizzato Ethan Hawke, al rabbioso Don Cheadle. Ha il solo difetto di arrivare fuori tempo limite, aggiungendo poco a quanto già visto, ed è tanto, in merito.

Relativismo etico (a contare non sono tanto il Bene e il Male presi in se stessi, ma la vicinanza all’uno o all’altro) per un poliziesco che vuole presentarsi come tragedia greca metropolitana. L’agone retorico diventa il vano mezzo per aggirare la predominanza del caso, il tentativo di autodeterminazione, la falsa speranza che cade inesorabilmente sotto le pressioni e i limiti del contesto socio-economico, il ruolo da interpretare, la forzatura identitaria di uno sporco e ingrato lavoro. Non c’è spazio per l’eroismo. La morale è già corrotta in partenza (il lento dolly di apertura che scivola da un cimitero), la redenzione un’utopia (il PP finale di Eddie). Fuqua imprime forza ad una sceneggiatura che, sebbene ricerchi tensione nella verbosità, pecca di un ingenuo ridondare allegorico e si muove in maniera programmatica verso il più tipico climax tragico, dove le tre storie si abbracciano nella “liberatoria” tragedia finale. Nella classicità del taglio (il campo-controcampo serrato è una costante) Brooklyn’s Finest mantiene una solidità che lascia poco spazio a derive patetiche e compiacimenti estetici. L’emozione è filtrata con fisico rigore.

Spira forte l’influenza del serial “The Wire” in questo quadro tragico sulla malavita di Brooklyn e sul male di vivere nelle forze dell’ordine, e non solo per la presenza, fra gli interpreti, di Michael Kenneth Wlliams: c’è anche il modo in cui Fuqua ritrae realisticamente i laboratori della droga degli afroamericani e la maniera in cui la sceneggiatura dell’esordiente Michael C. Martin confonde male e bene nelle due fazioni in campo, salvando poco e nessuno. Fuqua è un grande regista-artigiano che o si perde dietro script corrivi o sa valorizzare al massimo quelli discreti anche quando, come qui, sono abbastanza derivativi: i tre racconti giocano le carte alla Donnie Brasco (l’infiltrato che si lega ai personaggi della sua finzione), Taxi Driver (il depresso di Richard Gere che finisce per aiutare una ragazza per salvare se stesso) e tanto cinema di corruzione nella polizia per l’episodio con Ethan Hawke (il più originale e di denuncia sulle condizioni in cui versano le forze dell’ordine sottopagate). Il cinema del regista sa prendersi i tempi giusti, musiche alla mano, per far correre in parallelo i tre personaggi speculari nello smarrimento (magistrale la concomitanza finale dove, alla Guillermo Arriaga, assistiamo agli incroci). Ma anche Martin indovina la scelta di non svelare, all’inizio, i ruoli sociali dei protagonisti, per rendere ancora più labile il confine fra “normalità” e devianza (“Non ci sono buoni e cattivi, ma solo più giusti e più sbagliati”). Un impianto corale ricco di bravi e noti attori per un tipico, sempre gradito cinema metropolitano violento, disperato, senza redenzione.