
TRAMA
Il matrimonio di Dean e Cindy procede instabilmente, alternando fasi di armonia a momenti di contrasto e rottura.
RECENSIONI
L'amore che non muore
She sends me blue valentines
Though I try to remain at large
They're insisting that our love
Must have a eulogy
(Tom Waits, Blue Valentines)
L'amore che muore deve avere un elogio funebre. Blue Valentine è un epitaffio, una bara di cristallo con le pareti trasparenti. È un biglietto di San Valentino listato a lutto. Fin dal principio, si apre su un'immagine di perdita, destinata a diventare di morte: la scomparsa del cane Megan, che ha trovato il cancello aperto mentre ancora i coniugi erano entrambi addormentati, e pochi minuti dopo è avvistata, priva di vita, ai bordi della strada. Simbolo ingombrante, Megan è l'incarnazione di ciò che ancora c'era di buono nel matrimonio di Dean e Cindy: fuggito, morto, sepolto in giardino. Le lacrime che Cindy, prima, e Dean, dopo, versano per il cane, sono la prima fase dell'elaborazione di un lutto che ha lasciato ben più di una cuccia vuota. A sottolineare l'equazione, la breve sequenza in cui Dean rivede sul televisore vecchi filmini domestici: non il classico video del matrimonio, cliché abusatissimo, bensì quello della piccola Frankie che gioca con Megan. Comincia così l'oggi, il giorno zero, quello che è forse l'ultimo giorno di Cindy e Dean: 24 ore che Derek Cianfrance filma in digitale, per raffreddare ulteriormente il suo sguardo e per poter affondare la macchina da presa nel buio, nel blu livido che inzuppa la fotografia. Il passato, gli ieri luminosi, sono girati in 16 mm, lacerti di un tempo sfuggito tra le dita. Non veri e propri flashback: l'operazione di Cianfrance è piuttosto la geometrica costruzione di un'ellissi dai contorni precisi, due linee temporali nettamente separate che, lungi dal ricongiungersi alla fine del film, non fanno che dare corpo al fuori campo su cui esso è fondato. Gli anni, pochi, del matrimonio, sono tagliati fuori, lasciati allo spettatore, chiamato a colmare quel vuoto, ad appropriarsi dei ricordi della coppia. Le due linee narrative sembrano rincorrersi: le ore scorrono nell'Oggi, i giorni passano nello Ieri, ma il cerchio non si è chiude: è spezzato. Quello di Cianfrance non è soltanto un esempio di narrazione ellittica dell'amore (quasi un sottogenere, da 500 giorni insieme a One Day, da Like Crazy a 28 Hotel Rooms, visto al TFF 2012); è un elogio funebre. In quanto tale, decanta ai mesti sopravvissuti la bontà del defunto (amore): utilizzando la simmetria del montaggio, Cianfrance svuota di emozioni il presente funereo, per costruire con le immagini del passato quell'elogio che l'amore si merita. Così, il potenziale drammatico delle sequenze ambientate nel presente è costantemente smorzato tramite lo slittamento delle informazioni necessarie allo spettatore, che può comprendere la portata di dialoghi e dettagli solo dopo aver scoperto il loro significato tramite flashback. Si prenda per esempio l'incontro con Bobby Ontario, nel primo segmento del film: soltanto un'ora dopo, quando apprendiamo che è proprio di Bobby la bimba che Cindy porta in grembo, riceviamo il contraccolpo di quell'incontro casuale all'inizio dell'opera. Stesso meccanismo per il leit motiv You and Me, il pezzo dei Penny & the Quarters che riecheggia nella stanza di motel dove la coppia passa la notte, e che nel prefinale scopriamo essere la canzone che Dean ha scelto come colonna sonora del loro amore. Niente è più fonte d'emozione, nel presente: c'è solo il vuoto, come nel petto di Cindy, che ha esaurito le scorte d'affetto, e lo spettatore è condotto per mano da Cianfrance a vivere il ricordo esattamente come lo vivono i protagonisti.
Dietro lo specchio
Sono speculari e opposte le due porzioni della storia di Cindy e Dean; se nel passato il loro movimento è uno verso l'altra, nel presente è inevitabilmente nella direzione contraria. Cianfrance si pone in modo problematico di fronte alla missione di filmare due tempi di un amore, e sottolinea il divario temporale ed emotivo attraverso una macchina da presa sensibilissima, che nelle sequenze di Ieri si accosta ai neoamanti con pudore, quasi con timore reverenziale, senza avvicinarsi troppo. L'intento è raccontare il loro essere insieme, separandoli il meno possibile: la scelta è allora quella del piano sequenza, l'unico modo per mantenere uniti gli amanti nella stessa inquadratura. Pochi e densi piani sequenza fotografano l'amore in divenire: il primo dialogo sul bus, il numero musicale improvvisato per strada (Ryan Gosling esegue You Always Hurt the Ones You Love con ukulele e voce, Michelle Williams improvvisa un tip tap), la cruciale scena sul ponte in cui Cindy rivela di essere incinta. La regia muta pelle nelle sequenze dell'Oggi, dove spesso la porzione di campo inquadrata si restringe fino a escludere forzatamente uno dei due coniugi, i primi piani sfiorano i protagonisti lasciandoli soli nel loro disagio. Quando l'azione si sposta negli spazi stretti della Future Room, le inquadrature si fanno anguste e soffocano la compresenza dei due: in alcune sequenze di dialogo, Cianfrance filma il campo e controcampo ravvicinato, lasciando che i personaggi si ostruiscano a vicenda la visuale, un braccio a coprire il volto dell'altra, membra che si sovrappongono e si “impallano”. Anche quando permette a Cindy e Dean di entrare insieme nel quadro, la vista è offuscata, raggelata, da superfici riflettenti: le pareti di cristallo di una doccia futuribile, il vetro della reception ospedaliera dove si consuma il litigio definitivo. Il presente è freddo e asettico come la tavola di un'autopsia, dove le spoglie del matrimonio vengono sottoposte a sguardo impietoso. La cromia prevalente viene di conseguenza, con i rossi accesi del passato e i toni spenti, con dominante blu, del presente, dove l'unico personaggio contraddistinto dal rosso è Frankie, la bimba che ha determinato l'unione e che resta (forse) l'unico motivo per stare insieme.
Attori/ Autori/ Genitori
La potenza drammaturgica del film trova le radici non solo nello sguardo del regista, ma anche nella peculiare genesi di un'opera che non è riconducibile a una sola paternità. Derek Cianfrance ha iniziato a lavorare a Blue Valentine subito dopo aver dato alla luce la sua opera prima di enfant prodige, Brother Tied, lungometraggio girato all'età di 23 anni. La sua opera seconda (che nelle sale italiane giunge con ulteriori 3 anni di ritardo e paradossalmente a ridosso dell'uscita del suo terzo lungo di fiction, The Place Beyond the Pines) ha avuto un'incubazione di 12 anni: Ryan Gosling e Michelle Williams erano legati allo script da quando erano poco più che ventenni, ma l'impossibilità di reperire il budget ha fermato le riprese fino al 2009. Per allora, Cianfrance aveva scritto e riscritto una quantità di bozze, per decidere infine di non usare affatto il copione: la quasi totalità dei dialoghi di Blue Valentine sono improvvisati dagli attori sul set, su indicazione del regista, senza provare in precedenza e il più delle volte con un “Buona la prima”. Gosling e Williams (il cui lavoro sul corpo è impressionante: pochi anni separano le due età dei personaggi, non si tratta di vero e proprio invecchiamento; piuttosto di una perdita di fulgore, di calore, di energia, che i due attori rendono con straordinaria precisione) hanno girato le sequenze relative al passato in 3 settimane, per poi ritirarsi a convivere per un mese, lavorando sui personaggi e sulle dinamiche logorate tra loro, prima di filmare le sequenze del presente. Anche produttori esecutivi, i due interpreti sono a tutti gli effetti autori di un'opera “partecipata”, tanto rigorosa nella sua costruzione al montaggio quanto singolarmente e totalmente spontanea nella sua creazione. La sovrapposizione fra Cianfrance e i suoi attori è completa, al punto che Gosling medesimo, nella versione “invecchiata”, ha le sembianze del regista. La macchina da presa è manovrata dal regista ma condotta dal gioco degli attori in piena “improvvisazione controllata” (Cianfrance è forse l'unico possibile erede, oggi, di John Cassavetes): una danza a tre che eleva la performance di Gosling e Williams ad atto creativo irripetibile. Regista e interpreti non ricalcano la vita, la riproducono, la catturano in divenire, con tutto il carico di confusione, illogicità, casualità che ogni storia d'amore porta con sé. Le ragioni per cui il matrimonio si è deteriorato sono inespresse, sotterranee, mai esplicitate, ignote forse anche ai due protagonisti, con cui è impossibile non sviluppare una dolorosa empatia: l'anima dei personaggi è messa a nudo, ruvidamente esplorata, ma mai esposta crudelmente. Perché questo è pur sempre un elogio funebre, vitale in ogni suo minuto.

Dopo un esordio (Brother Tied) acclamato al Sundance ma non distribuito, Derek Cianfrance insegue l’opus 2 per dodici anni, concedendosi, nel frattempo, a documentari sportivi e interviste a rapper. Regala il primo ruolo degno di nota a Ryan Gosling, incastonato in un cinema con stilemi molto personali, fatti di realismo minuto, dettagli, rappresentazione di ciò che, di solito, resta off (dall’urinare alla pratica dell’aborto), di caratteri che crescono davanti allo sguardo vivendo eventi collaterali alla principale traccia narrativa. Di rappresentazione minuziosa (e spossante) della vita di tutti i giorni è oramai pieno il cinema (non quello americano), ma Cianfrance opera qualcosa di diverso nel modo in cui dilata il dettaglio, monta le sequenze, inserisce lo sguardo dell’attore, lega le scene e, in questo caso, inventa flashback non annunciati che “riempiono” i non-detti e schiariscono gli eventi (ma non chiariscono, volutamente: la pellicola vive di sospesi, di momentanee illuminazioni e molteplici possibili interpretazioni). In poche parole, il suo cinema fa in modo che la “scena umana” acquisisca una pregnanza che la “realtà” non possiede. L’elaborata drammaturgia, che s’appoggia a lungo sugli eventi passati, nel finale accelera il parallelo fra le due dimensioni temporali per constatare, con amarezza, quanto è cambiato l’amore di coppia, pur privilegiando il punto di vista maschile (Dean confessa ai colleghi di trasloco che sono gli uomini i veri romantici). L’opera non teme di mostrare l’uomo piangere, implorare, umiliarsi per amore, di fronte all’impossibilità di conoscere e comprendere le decisioni femminili. Dei “perché” di Cindy, infine, non sappiamo nulla: ellissi varie o potenziali mancano l’evento scatenante. Tutto è suggerito, ma neanche più di tanto: ci sono solo indizi, e questo rende l’opera preziosamente vera. Molto scaturisce, anche, dall’improvvisazione sulla sceneggiatura che Cianfrance ha preteso dopo aver costretto gli interpreti ad una lunga convivenza prima di girare. Il passato è in 16 mm, il presente in video RED. Il titolo è preso a prestito dal malinconico album di Tom Waits.
