TRAMA
Thomas è un fotografo londinese di grido che, sviluppando le foto scattate di nascosto ad una coppia nel parco, scopre nel quadro un cadavere. Torna a controllare: il corpo è ancora lì ma, il giorno seguente, scompare.
RECENSIONI
Michelangelo Antonioni s’ispira al racconto di Julio Cortázar “Le bave del diavolo” e gira in quello che, allora, era il centro del mondo occidentale, come fosse alla ricerca, personale oltre che filmica, di un luogo dove poter costatare se la realtà esiste, se è possibile ricostruire i fatti. Finisce con il contribuire alla costruzione della realtà, perché Blow-Up, oltre ad essere la sua prima opera ad ottenere un vasto successo di pubblico, fa parte della costruzione del mito degli anni sessanta: nell’immergersi in quella che era la metropoli-simbolo della società dei consumi moderna, dissemina la pellicola di segni e simboli della cultura pop/warholiana, di Borges, di metacinematografia, rendendo iconici l’action painting e l’arte concettuale, denotando con forza il periodo “sesso-droga-rock’n’roll” (Jeff Beck degli Yardbirds che, dal vivo e alla presenza di Michael Palin, spacca una chitarra). L’analisi del suo cinema, dal rapporto fra individui, si sposta sulla relazione del singolo con gli oggetti che lo circondano e Antonioni dimostra che anche la riproduzione fotografica è un’illusione, perché ad ogni blow-up (ingrandimento) del dettaglio immortalato, si apre un nuovo universo di segni imprevisti. Il finale enigmatico è, in questo senso, strabiliante e chiosa una trama gialla che si ferma alla "ricerca", perché resta incolmabile il divario fra immagine (o suono) e realtà: se s’ode il rumore di una palla da tennis e i giocatori sono impegnati nel passarsela, come interpretare che la palla non si vede? Allo stesso modo in cui si può interpretare l’esistenza o meno di un cadavere visto e scomparso. Non solo la realtà è inconoscibile, ma la sua rappresentazione la sta progressivamente sostituendo. Profetico. David Hemmings nel personaggio più rappresentativo della sua carriera, Herbie Hancock alle musiche che introducono gli scatti alle modelle (ritagliate con distacco, fino a trasfigurarle in manichini), il primo nudo integrale del cinema inglese (Jane Birkin).