Fantascienza, Recensione

BLADE RUNNER

Titolo OriginaleBlade Runner
NazioneU.S.A./ Hong Kong
Anno Produzione1982
Durata117'
Tratto dadal racconto 'Do Androids Dream of Electric Sheep?' di P. K. Dick
Musiche

TRAMA

Deckard è un “Blade Runner”, un poliziotto del futuro specializzato nello scovare e terminare i replicanti, uomini creati artificialmente…

RECENSIONI

Parlare oggi di Blade Runner appare al contempo semplice (per la fama e la notorietà che il film si porta dietro) e complicato (per la difficoltà di trovare un'angolazione differente dalle infinite analisi che al vaglio e all'usura del tempo finiscono per diventare luoghi comuni privi di sostanza). Ciò accade perché ci si trova al cospetto di un film che come pochi altri dalla modernità cinematografica ad oggi ha acquisito uno statuto talmente classico in grado di gridare se stesso con la propria voce, con le proprie immagini, tanto da far risultare superfluo ogni tentativo esegetico. Non è di poco conto considerare la genesi di Blade Runner, le ascendenze tematiche, figurative e  letterarie che hanno contribuito alla realizzazione di un film del genere. Innanzitutto a livello figurativo è inevitabile richiamare Metropolis. Il film di Lang del 1927 - all'epoca ancora non classificabile come film di fantascienza - costituisce un archetipo scenografico, stilistico e tematico per una serie piuttosto copiosa di film appartenenti al genere fantascientifico ed in particolare per il film diretto da Ridley Scott. L'uso di un certo modello architettonico nel delineare un'ipotetica metropoli del futuro, ha sicuramente ispirato l'ideazione di Blade Runner. Non solo: il rapporto tra uomo e macchina, centrale nel film di Scott, era presente già nel film di Lang, ed in particolare il rapporto di specularità tra l'essere umano naturale e quello artificiale. L'altro grande riferimento, protagonista della nascita del film, è il romanzo dal quale è liberamente ispirato: Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (Do Androids Dream of Electric Sheep?) di Philip K. Dick. Il celebre scrittore è sicuramente uno dei massimi narratori fantascientifici della seconda metà del Novecento, capace di influenzare l'immaginario collettivo in maniera determinante, precursore del cyberpunk e responsabile, con i suoi romanzi, della materia prima di numerosi altri film di fantascienza oltre Blade Runner, tra cui Atto di forza di Paul Verhoeven e Minority Report di Steven Spielberg. Da qui, da queste basi, nasce Blade Runner, film che a partire da ciò che si è appena detto sembrerebbe poco originale, ma che per la storia del cinema e per quella del genere fantascientifico in particolare si è affermato come un'opera rivoluzionaria. Nel 1977 la fantascienza cambia volto: con l'uscita di Incontri ravvicinati del terzo tipo di Spielberg e Guerre stellari di Lucas il genere subisce una svolta infantilistica, ottimistica e ludica - senza che questo voglia significare un giudizio di valore o una svolta peggiorativa. Nel 1982 quella svolta di cinque anni precedente si manifesta come un vero e proprio status quo, per via anche dei mutamenti produttivi avvennero in quegli anni. Blade Runner si svincola da questa ondata e tenta di riportare la fantascienza in atmosfere più cupe (il film è girato sempre di notte e quasi sempre durante intensi temporali)  utilizzando un approccio ad alcune tematiche (soprattutto il rapporto tra creature naturali e artificiali) più problematico. Ciò però senza ritornare al passato, senza retrocedere stilisticamente, ma interpretando come poche altre opere gli anni ottanta. Blade Runner si configura in primo luogo come un film di superficie, un film sulla superficie. Se il cyborg dorato di Guerre stellari era perfettamente riconoscibile, gli androidi del film di Scott sono superficialmente identici agli esseri umani, dai quali non si distinguono per nulla, tranne che per la durata della vita e alcune caratteristiche che non contemplano la loro immagine. È proprio questo il volo pindarico che fa fare Blade Runner al genere, specie se analizzato incrociando il film sia con la storia della fantascienza, sia con le ricorrenze stilistiche del cinema nordamericano degli anni ottanta. Un cinema della superficie, così come lo è Vivere e morire a Los Angeles di Friedkin, opera di tutt'altro genere, ma che, fin dalla colonna sonora e dal lavoro sull'immagine dimostra l'emergere osmotico, inarrestabile della sua epoca e la capacità di metabolizzarla cinematograficamente. Per questi motivi Blade Runner è diventato ben presto un classico della fantascienza che, in particolare per il rapproto tra umano e cyborg ha ispirato film come Terminator di James Cameron che a sua volta ha contrassegnato una generazione.

Cyberpunk e postmodernismo allo zenit: figurativamente e drammaturgicamente, l’opera è entrata sottopelle nella coscienza collettiva e nell’immaginario, un modello per la fantascienza distopica a seguire, una fucina di neologismi (David Webb Peoples conia il termine “replicante”). L’immaginazione per la cupa ambientazione futura è magistrale (modelli: Fritz Lang e Moebius), complici gli effetti visivi (Douglas Trumbull, fra gli altri), le scenografie futuriste di Syd Mead, il senso angosciante di mistero impresso dalla sceneggiatura, l’atmosfera al contempo suadente e squallida (scenari metropolitani al neon, multietnici, sporchi e caotici). Ogni singola immagine è un’opera d’arte pittorica: il racconto, complici le musiche di Vangelis, è teso ed emozionante. Ridley Scott, che aveva già posto una pietra miliare nel genere con Alien, ha le idee chiare, litiga con tutti sul set e trasforma il racconto “Il cacciatore di androidi” (1968) di Philip K. Dick (che non apprezzò la prima stesura di Hampton Fancher ma, prima di morire, vide e gradì una copia lavoro del film) in un ibrido di noir chandleriano e fantascienza adulta, con dialoghi (anche) filosofici, lirismi vari e uno svolgimento complesso che non va a discapito dei moti umani di immediata presa e delle profonde tematiche che riflettono sull’Uomo, l’Amore, il senso della Vita. Rutger Hauer indimenticabile: il noto monologo finale di Roy Batty è anche un suo parto. Incredibile ma vero, all’uscita non recuperò il capitale speso: Scott e il produttore Michael Deeley sforarono il budget, vennero “spodestati” e, previo screening test, la produzione impose la voce fuori campo di Rick Deckard per rendere tutto più intellegibile e appiccicare un finale più roseo, infilando riprese aeree avanzate dall’incipit di Shining. Uscì con due montaggi diversi nel 1982 (uno per il mercato statunitense, uno per quello europeo) e, senza la supervisione di Scott, nel 1992 fu immesso sul mercato un “director’s cut”, con il finale originale e senza la voce fuori campo che, alla faccia dei puristi, è iconica: la chiusura voluta da Scott, inoltre, in cui si intuisce che anche Deckard è un androide, depotenzia tutto il tema dello scontro uomo/macchina. Nel 2007 è uscita una “Definitive edition/The final cut” dove Scott ha supervisionato il restauro, esteso/migliorato alcune sequenze (girate ex-novo) e introdotto nuovi effetti speciali.