TRAMA
Nel misterioso Arboria Institute, una bella ragazza sofferente di disturbi mentali è tenuta prigioniera. La sua mente è controllata da una sinistra tecnologia. In silenzio, aspetta la prossima sessione con il suo squilibrato terapeuta, il dottor Barry Nyle. Se lei vuole fuggire, dovrà attraversare i più oscuri meandri dell’Istituto…
RECENSIONI
Non si può certo dire che il giovane regista Panos Cosmatos, nato in Italia nel 1974 da padre greco e madre svedese, non mostri personalità. Il suo film, che batte bandiera canadese, non si lascia condizionare dall’ipotesi di un pubblico e porta avanti un percorso visivo e sonoro in cui il magma che ne deriva procede più per suoni e chiazze di colore che per approdi narrativi. Superato l'empasse del cosa (la presa di coscienza di una ragazza prigioniera di un professore che la sta studiando), resta il problema del come. Il profilmico prevede infatti una successione studiatissima di sequenze all'insegna del fuori fuoco, dove si alternano, in cerca di significato, sgranature, dissolvenze in rosso, primissimi piani, dettagli di design, piramidi luminose, sostanze gassose in ebollizione, dialoghi centellinati, voci distorte e una morbosità sotterranea che ogni tanto timidamente emerge. Un vero e proprio delirio psichedelico, molto attento alla resa cromatica, alla creazione di un’atmosfera e con probabilmente anche l'intento di porre le basi per un contrasto tra la perfezione utopica di un mondo artificiale e lo squallore della realtà. Sensazione confermata dalla conclusione, con il ritorno della protagonista a un quotidiano solo apparentemente liberatorio, forse più regressione che conquista. Supposizioni che il film non si premura di approfondire e nemmeno di alimentare. Il problema è che scenografie seventy e sonorità elettroniche eighties (dove, stando alle note di produzione, è ambientata la vicenda) faticano a rimpolpare lo striminzito soggetto, con incomprensibili sviluppi che si limitano a mettere alla prova la pazienza dello spettatore. In questo senso Beyond the Black Rainbow è una di quelle opere che non stonerebbero come installazioni, o come sottofondo visivo su cui volgere l’occhio distrattamente in discoteca mentre si balla, ma che al cinema si finiscono per subire come una punizione.
