Commedia

BELLE AL BAR

NazioneItalia
Anno Produzione1994
Genere
Durata110'

TRAMA

Il restauratore Leo, a Piacenza per lavoro, incontra una donna che sembra conoscerlo molto bene: si tratta di suo cugino Giulio…

RECENSIONI

Benvenuti copia Almodóvar? Le prove sembrerebbero schiaccianti: un transessuale di destabilizzante fascino e impertinente sincerità dimostra a un “normale” ipocondriaco e(/perché) infelice l’inutilità delle definizioni e la forza dell’amore. BELLE AL BAR presenta temi e figure (e colori) rintracciabili in alcuni film dell’autore spagnolo, ma non è una fotocopia o – peggio ancora – un adattamento: è piuttosto un dramma cupo e grottesco, ricco di ironia, squarci onirici e fendenti horror, un oggetto (e)stran(e)o e inquietante nel disastrato panorama italiano. La schiavitù del matrimonio, il disgusto di esistere, l’impossibilità di riconquistare il passato (nell’arte e nella vita), il bisogno di trovare la felicità (a costo di sconvolgere equilibri di camicie impilate, macchine sportive, perversioni telefoniche): elementi suscettibili di prolisse tirate moralistiche, affrontati con leggerezza e ridente pudore [nell’esplorazione delle passioni, non certo dei corpi, nudi o poco vestiti per uccidere (con l’amore)] da una messinscena sospesa fra sogno, visione e risveglio tardivo, in un tentativo coraggioso e (in massima parte) riuscito di utilizzare le bizzarrie della commedia (non “all’italiana”, della commedia e basta) per sondare il cuore dell’uomo (e, naturalmente, della donna). Sinuoso, dolce e tagliente, morbido e disilluso nel disegno di differenti abissi di tedio sepolti nel kitsch (dalle orgette salottiere agli iperrealistici tubetti di dentifricio), screziato di greve (ma non inutile) volgarità nelle parti di fianco, anticipa, nelle atmosfere da detection (gli sguardi dall’alto, gli specchi e i paraventi, gli incontri quasi inattesi), il successivo (e ambizioso, non senza ragioni) I MIEI PIÙ CARI AMICI. Fino a oggi, il risultato più interessante della carriera del regista, appannato (non irrimediabilmente) da un finale posticcio.

Mentre Francesco Nuti, ex-compare di cabaret nei “Giancattivi”, scompare avvolgendosi su se stesso, Alessandro Benvenuti pare crescere ad ogni film. Di crescita è anche questo viaggio sentimentale alla scoperta della massima "Dalla normalità si può guarire”. Gli interpreti, assembrati senza il mantra del professionismo, sono straordinari e simpatici come si "conviene" alla commedia italiana: Giovanni Pellegrino ha la macchietta del meridionale innamorato; Andrea Brambilla altri non è che il ‘Zuzzurro’ senza ‘Gaspare’ del duo comico; Eva Robin’s (con nudo integrale) è un transessuale di Bologna. Tutti hanno la possibilità di svelare anche un’anima, una consistenza esistenziale rara nel nostrano cinema di genere. Merito, in parte, dello sceneggiatore Ugo Chiti, specialista di simbiosi fra commedia e drammaticità, ma a fare la differenza è la misura con cui il Benvenuti regista tratta un argomento scottante, portando lo spettatore ad amare i personaggi: evitando la mera farsa, affronta il serio con leggerezza e fa della leggerezza un efficace veicolo per sondare i mutamenti (e le mutazioni) nella sfera psicologico-sessuale del presente. Il Leo noioso e puntiglioso (che ricorda una delle maschere piene di idiosincrasie di Carlo Verdone), spaventato da certi eccessi del sesso e dalla donna moderna "liberata" (il festino della moglie con lo spogliarellista), non è esortato semplicisticamente a “ravvedersi”, supera le inibizioni attraverso un’integrazione e una maturazione indolori. Non è lui a cambiare, ma il mondo che lo circonda: gli imbarazzi non si sublimano nelle perversioni, è il sentimento lo spirito-guida attraverso la selva della morale corrente. Il ricamo edificante è sottile, quasi invisibile tanto è scorrevole la narrazione e non di meno complessa. Non è da sottovalutare neppure la creatività dell’autore/comico nella messa in immagini: vedere la sequenza iniziale e quella sognante dentro il locale "Belle al Bar". Un “Pensiero stupendo” (il leitmotiv di Patty Pravo) per l’italiano La Moglie del Soldato (uscito al cinema poco prima: anche Ivo il Tardivo seguirà a ruota Forrest Gump).