Azione, Recensione

BATTLE ROYALE

Titolo OriginaleBatoru rowaiaru
NazioneGiappone
Anno Produzione2000
Genere
Durata114'

TRAMA

In un futuro prossimo, l’incremento demografico giapponese ha raggiunto vette impressionanti. In parallelo sono aumentati disoccupazione e delinquenza. Il governo corre ai ripari con il Battle Royale Act: ogni anno una classe di studenti, estratta a sorte, è portata su un’isola deserta e i ragazzi sono costretti a uccidersi a vicenda e ad indossare uno speciale collare esplosivo, azionato in caso di infrazione delle regole.

RECENSIONI

Ne resterà soltanto uno

Bollato come uno dei film più pericolosi mai girati e pubblicizzato come fonte ispiratrice di Quentin Tarantino per "Kill Bill", sembra prossimo l'arrivo anche in Italia (ad opera della bolognese Shin Vision) del lungometraggio di Fukasaku Kinji, autore giapponese dalla lunga ma poco esportata carriera. La frase di lancio "Hai mai ucciso il tuo migliore amico?" rappresenta perfettamente lo spirito del film: una lotta senza esclusione di colpi su un'isola deserta. L'originalità sta nell'inversione dei ruoli alla base del soggetto. I giovani che si scontrano frequentano la stessa classe di una scuola media e il loro sobillatore altri non è che un crudele professore. Si suppone, infatti, che in un prossimo futuro il governo, incapace di ristabilire il dialogo tra giovani e adulti, autorizzi annualmente una specie di gioco ("Battle Royale", appunto) il cui progetto "educativo" si fonda sulla competitività e la violenza. In pratica, una classe viene sequestrata e obbligata a combattere fino a quando non resterà un unico sopravvissuto. I giovani sono sempre più lassisti e sbandati? La soluzione sta nel risvegliare nel singolo la capacità di lottare accantonando sentimenti ed emozioni. Meno cinico di quello che il marketing vuole farci credere (alla fine a vincere è comunque la solidarietà), il film gode di un forte impatto visivo, ingigantito dal tonitruante commento musicale, e di una messa in scena estrema e fumettistica ma dai presupposti plausibili. Sono una quarantina i ragazzi che devono massacrarsi, eppure la successione dei crudeli decessi riesce sempre a colpire. Merito di un'accurata caratterizzazione dei personaggi, tra l'altro interpretati con convinzione, che non diventano solo anonime pedine di una carneficina e mostrano uno spessore, il più delle volte elementare ma funzionale al racconto. Perfetto Takeshi Kitano nel ruolo dell'insegnate, che conferisce una simpatia grottesca alla sua figura di lucido assassino. Vendetta, amori adolescenziali, forza, coraggio, ricerca di valori, educazione, disciplina, sono temi cardine del cinema giapponese, dai classici ai cartoni animati che hanno invaso l'occidente negli anni ottanta, e Fukasaku Kinji li amplifica rendendo lo scontro epico e compiacendosi dei numerosi dettagli splatter. Questo vigoroso incontro tra "Il Signore delle Mosche" e "Contenders - Serie 7" può anche essere letto come una critica alla società giapponese, in cui l'esplosione della bolla speculativa ha vanificato il duro lavoro di una generazione, ora adulta, che ha trasmesso incertezza e ansia ai figli dando vita a un gap sempre più esteso ed ormai insanabile. Il discorso politico sembra però più un'etichetta attribuita a posteriori per dare un senso alla violenza presente in ogni fotogramma. Una sorta di anestetico alle pulsioni distruttive dell'uomo messe in scena da Fukasaku Kinji. Non si spiega altrimenti perché il presupposto sociale venga liquidato da alcune didascalie iniziali per poi lasciare spazio unicamente alla feroce e spietata lotta all'ultimo sangue.

Le veementi polemiche socio-psico-pedagogiche che hanno accompagnato il film di Fukasaku fin dalle prime proiezioni non fanno onore all’acume del regista, che mette a punto, con questo BATTLE ROYALE, soprattutto un divertissement horror intinto di grottesca ironia. Il pretesto iniziale non sta in piedi da nessun punto di vista, ma è appunto solo un pretesto per un (almeno all’inizio) fulgido, fantasioso, sghignazzante countdown geometrico (l’isola come scacchiera minata), straniato (il gelido ispettore generale – un Takeshi Kitano irrefrenabile primadonna anche nella morte –, i viennesi spunti musicali), scatenato (la scena della cucina, giostra di equivoci fra i Borgia e il grand-guignol). La melensa conclusione (con presunto colpo di scena prefinale) è una caduta di tono che ammoscia senza rimedio il risultato complessivo.

L'ultimo film di Fukasaku, se possibile, incupisce ulteriormente il quadro del Giappone moderno che il regista, durante la sua carriera, ha tratteggiato. Le premesse sulla crisi economica e morale imperversanti nelle isole nipponiche ha i toni dell'apocalisse urbana. Al contrario di quanto avveniva negli anni'60 non sono i mostri a spazzare le città ma la società stessa ad essere divenuta mostruosa ed esplosiva: il governo per ripulirla ha ben pensato d'inventare una lotteria in cui sono i giovani tremendi virgulti ad eliminarsi vicendevolmente. Fuor di metafora un mattatoio regolamentato. In scala teenage non siamo molto lontani da quanto comunemente avviene tra il cittadino medio operoso ed il pelandrone emarginato. Solo chi sopravvive è utile. Formalizzazione di un assunto culturale evidente agli stessi giapponesi - tematizzato in ogni manga di consumo- tanto da mettere in dubbio lo scandalo suscitato da Battle Royale. Un esperimento in vitro che ha la forza dell'invenzione teorica ma ha pure i germi del fallimento pratico. Non solo Fukasaku inceppa il meccanismo statale facendo sopravvivere degli emeriti imbranati, la coppia della rinascita nel fiacco finale, ma, contemporaneamente è la vitalità dell'invenzione a perdersi. Se infatti il prologo e le prime fasi dell'azione, grazie anche al professore idiota e crudele interpretato da Kitano Takeshi, promuovono ben più d'una aspettativa sulla ferocia dell'operazione, l'inanellarsi seguente di risapute situazioni, iterate senza inventiva, è capace di sgonfiare ogni entusiasmo. Si è certo liberi d'attribuire ciò alla prospettiva dello spettatore occidentale, sempre che la noia non sia un fattore universale, al pari della mancanza di stile.

Al grande gioco della morte, in cui viene visualizzato costantemente il numero dei partecipanti superstiti, in un lugubre quanto pedante conto alla rovescia, Fukasaku presta il grande schermo per parlare in termini trasversali del nipponico conflitto generazionale post recessione: un atto d'accusa sotto forma di blockbuster in cui si mescola la real tv alla Survivor con le logiche di percorso obbligato dei videogame. Le dinamiche del sospetto sono variegate ma sboccano in omicidi di puntigliosa modalità seriale, la bontà non sembra pagare, se decidi di essere dalla parte di chi frega forse ce la fai, solo la meglio gioventù, innamorata e tenace, avrà la meglio. Grande idea e il regista, che non ha nessuna paura di essere scorretto e ben poco pacificato, la applica su una griglia numerica in cui l'esame dei caratteri conta poco, affidandosi l'autore alla meccanica ripetizione del(l'il)logico massacro ferino.