Nel febbraio del 2011, Béla Tarr ha confermato che Il cavallo di Torino sarebbe stato il suo ultimo film. Con il chiudersi della sua carriera, l'inevitabile processo di classificazione in comode nicchie di mercato, e di attribuzione di etichette riduttive (“autore europeo austero”, “pessimista”, “grande cura formale”, “tempi lenti e contemplativi” e quant'altro) ha conosciuto una prevedibile, fisiologica intensificazione. Naturalmente, tutto ció non rende neanche lontanamente giustizia al cinema del regista ungherese, che figura tra i più potenti e coerenti sforzi di annunciare la fine del tempo che questi ultimi decenni (soprattutto quelli dopo il fatidico 1989) ci abbiano dato. Un annuncio, quello della fine del tempo inteso come fluire lineare, come scorrere verso un qualche progresso innanzi a sé, dalle inaudite implicazioni non solo estetiche, ma anche (soprattutto?) storiche, politiche, ideologiche, sociali. I suoi film esplorano in lungo e in largo queste implicazioni (che questa prima monografia italiana dedicata al cineasta ungherese si sforza di ricostruire), e mettono lo spettatore di fronte a un tempo diverso, con cui è necessario prendere confidenza per intercettare le potenzialità nascoste dentro la fine del tempo. Perché l'annuncio della fine del tempo non è un annuncio pessimista: l'eclissi definitiva del futuro ci regala, preziosamente, il presente._x000D_