TRAMA
Documentario girato nel 1991 alla fine della guerra del Golfo in Kuwait dove gli Iracheni incendiarono i pozzi di petrolio.
RECENSIONI
«C'erano stati qui, esseri umani?»
A oltre vent'anni da Fata Morgana, Werner Herzog costruisce un nuovo punto d'osservazione, l'estrema incursione in cui la catastrofe si è già consumata: i pozzi petroliferi in Kuwait, le cui fiamme indomabili che sembrano toccare perpetuamente l'ignoto, sono il soggetto principale di un paesaggio disseminato di rovine e veicoli incendiati, nel quale ogni forma di vita possibile è estinta. Con un movimento aereo Herzog mostra una Terra trasfigurata nelle sue forme, in cui i crateri richiamano alla memoria paesaggi lunari e l'occhio scrutatore della mdp sembra essere estraneo a quella porzione di mondo traumatizzato e lesionato, procedimento che verrà radicalizzato ulteriormente nel successivo L'ignoto spazio profondo. Il film mancherebbe totalmente di parola, se non fosse per la voce-off: il narratore/alieno non è in grado di spiegare che cosa sia accaduto, «del passato abbiamo trovato solo alcune tracce» confessa, per poi tornare al (spaventoso) silenzio, agli ampi movimenti musicali (Wagner e Mahler in primis, poi Prokofiev, Schubert e Verdi) in evidente contrapposizione con l'imponenza del disastro. La parola non è conforme alla situazione, la parola è dimenticata, non ce n'è più bisogno. Negli ultimi capitoli del film si lascia spazio a due figure femminili: la prima, una donna vestita di nero, ha perso la parola dopo aver assistito all'uccisione dei figli; vuole parlare, vuole raccontare qualcosa, ma quello che dice non è intellegibile. La seconda invece, racconta della morte del marito e del figlio che ha deciso di non voler più imparare a parlare.
«Forse una vita senza fuoco è diventata per loro insopportabile?»
Gli uomini che ancora vivono su questa Terra, sono ricoperti d'amianto, sono privi di volto. Incaricati di spegnere i pozzi, gli uomini accecati dalla potenza della fiamma innaffiano invano le cisterne, ma inaspettatamente uno afferra una sigaretta e provoca una riaccensione (in un gesto suggerito dallo stesso Herzog). Le figure riprese dalla mdp hanno perso ogni carattere di umanità, sembrano essere automi meccanici dominati dal fuoco. Il loro nuovo mondo è governato da un mare di petrolio, una foschia nera occulta il cielo, il terreno ribolle. L'apocalisse è alle porte.
Herzog, definito da Ghezzi a proposito di Fata Morgana “un oltranzista della trasparenza cosmica”, moltiplica la ricerca della verità (comunque sempre imperfetta) fino ad arrivare all'assoluto, all'alieno. Di conseguenza, Apocalisse nel deserto non è mediato da finzione rappresentativa, ma seguendo l'irrealizzabile (?) ispirazione del regista, ossia quella di emancipare la grandezza dell'immagine da ogni controllo fisico, mostra ancora una volta che è l'uomo a distruggere l'uomo. Una presa di posizione politica con la quale Herzog, ancora una volta, sottolinea efficacemente gli aspetti più brutali dell'animo umano e della contemporanea società capitalistica, impegnata a salvare prima il petrolio e poi le vite umane.