TRAMA
La misteriosa scomparsa della piccola Marie, avvenuta molti anni prima, ha sconvolto la famiglia di Yuichiro. Il padre è morto, lo zio si è suicidato, il fratellino Yuya è soggetto a raptus misteriosi e viene allevato dalla madre come se fosse la sorellina scomparsa. L’incontro con una regina del sadomaso, Naomi, consentirà a Yuichiro di ricomporre il trauma e superarlo.
RECENSIONI
Le inquietudini crescono in una casa che ospita, nei riflessi di uno specchio, terribili avvenimenti ripassati in flashback: la scomparsa misteriosa della piccola Maria, l'ombra di una violenza sotterrata sotto l'omertà bambina, la perdita di un genitore, un suicidio. Il giovane Yuichiro si infligge tagli sul torso per superare, attraverso la sofferenza del corpo, il tormento che lo attanaglia (esperienza catartica per uno studente di filosofia che ha vissuto ogni esperienza con la testa); il fratellino, tutto sensibilità, avverte la presenza di Maria ("L'antenna sta vibrando") e si sostituisce alla sorella scomparsa; la madre, in una follia accettata e legittimata, annulla il suo bambino per ritrovare in lui la figlia perduta; l'esperienza psicanilitico-sessuale sui generis di Yuichiro, tra sadomasochismo e voyerismo, fa riemergere il fango dall'anima in uno psicodramma che si conclude con una disperata masturbazione: il percorso di accettazione e di riemersione del rimosso culmina in un orgasmo liberatorio e lacerante che espelle il trauma che urlava dentro; lo straziante processo di accettazione avrà una coda onirica splendida, che lascerà aperte le possibilità tramiche: si traggono diverse conclusioni sull'accaduto, tutte egualmente possibili.
ANTENNA è un film che mescola grottesco e orrore dell'anima, Lynch e Tsukamoto (si pensi a GEMELLI) e che dimostra ancora una volta che oggi solo il cinema orientale è spregiudicato e non ha timore di osare: un cinema di corpi che si toccano, di ambienti che si vivono, di sudori freddi, che non ha paura di far paura sul serio, scandagliando i fondali spirituali più limacciosi, e di battere terreni pericolosi (il discorso non riguarda solo pellicole come questa ma anche, per esempio, BU SAN di Tsai Ming Liang o LAST LIFE IN THE UNIVERSE di Ratanaraung: provate a trovare, in un'Europa che tutto normalizza, film così radicali e coraggiosi).
Kumakiri riesce a rendere con molta efficacia l'oscurità che circonda il suo protagonista, muove la macchina da presa in una casa che è culla di mille deviazioni, usa musiche badalamentiane e oppone, a un passato umido di pioggia, raggi di sole che penetrano all'interno dell'appartamento nella scena finale in cui i due fratelli abbattono a martellate la parete che occludeva il passaggio della luce: i tempi bui sembrano davvero superati, si può ricominciare a vivere.

Fuori Sintonia
Il primo impatto, poi confermato dallo scorrere delle immagini, è di totale estraneità a quanto raccontato dallo schermo. È come se la proiezione avvenisse altrove, per un altro pubblico, posizionato da qualche altra parte e in grado di trovare una non facile sintonia. E dire che l'intreccio pesca a piene mani nel torbido: autolesionismo, sdoppiamento della personalità, approcci sadomaso, suicidi, sparizioni. Il ritornello del film è "Dov'è Marie?" riferito al trauma subito dal giovane Yuichiro alla scomparsa della piccola sorella, ma è davvero difficile appassionarsi, o anche solo provare interesse, per una messa in scena così poco incisiva, nonostante si percepisca una ricerca formale. Tranne rare intuizioni, una brutta fotografia avvolge un mistero tanto greve quanto confuso, senza che nulla di ciò che accade riesca minimamente a scalfire e con una soluzione masturbatoria davvero grossolana.
Perché, sempre più spesso, l'Oriente da Festival è così omologato? Sesso, religione e mistero, variabilmente intrecciati, sembrano soffocare qualsiasi ispirazione.
