TRAMA
Vita, carriera e processo creativo di uno dei più interessanti disegnatori americani.
RECENSIONI
Bill Plympton è forse sconosciuto ai più, il motivo ce lo spiega Alexia Anastasio nel divertente documentario con cui celebra uno dei più talentuosi artisti indipendenti americani. Un uomo contraddittorio e simpatico che anela al successo ma ai riflettori della ribalta preferisce la sua matita. Un uomo per cui disegnare è un’esigenza vitale, come per la moltitudine bere e mangiare. Un uomo, quindi, più famoso per le sue opere, comunque sempre destinate a un pubblico di nicchia, che per le sue gesta. Il ritratto messo in scena dalla Anastasio non tralascia nulla e coinvolge tutti, ma proprio tutti, quelli che sono gravitati intorno a Plympton, quindi familiari, amici, critici, fan, star e colleghi. È sempre interessante, a volte deludente, scoprire l’uomo che si cela dietro l’artista, ma vedendo Plympton, caustico e divertito mentre si racconta, la sensazione è che la sua arte lo rappresenti appieno. Una personalità in continua evoluzione, che abbina a un grande talento per il disegno un’enorme curiosità per tutto ciò che lo circonda.
Il documentario ripercorre l'infanzia trascorsa in una fattoria isolata dell'Oregon, in cui alternava i giochi con i fratelli a intere giornate in casa a disegnare a causa del clima piovoso, il primo quadro non realistico all'età di dieci anni, la giovinezza in cui il talento diventa un'arma di seduzione, le più svariate esperienze figlie dell'epoca, che se sei adolescente nei tardi anni '60 prendono la forma di disegni sotto acido che esasperano le forme. Tanti gli aneddoti che l'artista racconta della sua vita, dalla decisione di entrare nella Guardia Nazionale per non andare in Vietnam (il suo rifiuto di sparare venne barattato con l'obbligo di diventare il disegnatore ufficiale della Compagnia), ai lavori come illustratore a New York, dove si trasferì per inseguire i suoi sogni, fino alla candidatura all'Oscar nel 1987 per il geniale cortometraggio animato 'Your Face'. Dopo questa grande vetrina si aspettava contratti milionari con la Disney, ma le cose andarono diversamente e il passo successivo fu l'altrettanto geniale lungometraggio Tune. Con la Disney i contatti ci furono per Aladdin, ma la strada della totale autonomia ha finito inevitabilmente per cozzare contro le rigide regole di una major per cui i sogni, per essere tali, devono essere necessariamente venduti a tutto il pianeta.
I tanti capitoletti in cui è suddiviso il documentario scandagliano il segreto del successo di Plympton (la ricetta prevede una vincente combinazione di impegno, ambizione e fortuna) e provano a razionalizzare ciò che la matita insegue senza sosta: un sogno, un’idea, un’illusione, una pulsione, una frustrazione. Un disegno che mostra molto più di quello che si vede, dall’andamento libero e personale, come l’improvvisazione di un brano jazz che insegue sonorità imprevedibili, giocando con gli aspetti più disturbanti della vita reale, scavando quindi anche nel torbido (indiscutibilmente originale la fellatio dalla soggettiva di una bocca). Sempre con ironia, non sempre con leggerezza, alla ricerca dell’inaspettato, nel tentativo di dare una forma alle proprie ossessioni. “Fare sesso e far ridere la gente”, conclude Plympton, “è il massimo per me, se poi la gente facesse sesso vedendo un mio film per me sarebbe il paradiso”. Noi ci proveremo, promesso.