TRAMA
Jackson Maine è un musicista country di successo. Incontra casualmente Ally, cameriera di giorno e cantante di notte, e la sua vita cambierà per sempre.
RECENSIONI
Quarta variante di un classico del cinema (celeberrime le precedenti versioni del 1937, 1954 e 1976, anche se tutto da parte da A che prezzo Hollywood? di George Cukor del 1932) che vede ragione di essere nella presenza della regina del pop Lady Gaga, già vincitrice di un Golden Globe per il televisivo American Horror Story: Hotel ma per la prima volta protagonista assoluta al cinema, e nel debutto alla regia di Bradley Cooper, che si ritaglia anche il ruolo di co-protagonista dalla voce graffiante, co-sceneggiatore, co-compositore delle canzoni e produttore. Sulla carta si promettono scintille, ma il risultato non è all’altezza delle lecite aspettative. La storia è in grado di funzionare sempre, in ogni epoca e contesto, e di adattarsi a ogni latitudine: la cantante talentuosa dall’immagine apparentemente poco vendibile, il pigmalione che la ama per quello che è e la aiuta a realizzare il suo sogno, la discente che supera il maestro, il maestro che diventa presenza ingombrante e la consacrazione definitiva della ormai nuova stella. Il consueto passaggio di consegne artistiche e sentimentali tra talenti vecchi e nuovi nella versione aggiornata ai tempi non trova però modo di ammantare di magia il cliché. Succede tutto troppo in fretta per consentirci di entrare nelle psicologie dei personaggi ma soprattutto per farci affezionare ai loro vuoti emotivi e alle loro insicurezze. La sceneggiatura (che si rifà a quella di Moss Hart della versione di George Cukor) si rivela quindi il punto più debole dell’opera, con una linearità che semplifica laddove potrebbe sfumare e taglia con l’accetta caratteri e situazioni. Finisce quindi che l’amore messo in scena si riduce allo stereotipo usurato dell’uomo che si rovina la vita buttandosi nell’alcol perché ha avuto una brutta infanzia e della donna distrutta dal dolore che trova nell’arte una forma di riscatto. Il tutto condito dal solito idealismo americano che vuole il vero talento prima o poi universalmente riconosciuto, perché se vali davvero nessuno ti può fermare, quello che sei, se è puro, prima o poi affiora e bla bla bla.
L’ascesa, però, non ha mordente e nessun vero ostacolo a ravvivarla, men che meno la discesa che si affida allo sbiascichio e al gigioneggiare di Cooper, prigioniero di un ego che lo vuole ago della bilancia di ogni svolta narrativa. Tocca quindi sorbirsi un confronto del suo personaggio con chiunque compaia in scena, dal fratello che si pensava invidioso e invece invidiato, al manager dittatoriale, al padre della sposa. Confronti davvero poco interessanti perché sempre gravitanti intorno al problema dell’alcol come unico impedimento alla realizzazione personale. Tutto scorre quindi basico e superficiale e l’emozione ne risente perché non si va mai dietro le etichette appiccicate ai personaggi: lui autodistruttivo e conflittuale, lei talentuosa, verace e dal cuore d’oro. Se Lady Gaga si mimetizza nel personaggio dimostrandosi perfettamente in parte, anche se il ruolo del brutto anatroccolo insicuro di sé non arriva mai davvero a pungolare perché le sue insicurezze sono più raccontate che vissute, il maledettismo di Bradley Cooper invece non convince e sembra più posa che sostanza. La regia è formalmente ineccepibile, attenta a disattendere, a non essere prevedibile, a cercare un equilibrio tra il dentro dei personaggi e il fuori dello show business, ma non si rivela in grado di accompagnare in modo incisivo il fluire del dramma. Unico guizzo, anche se tutt’altro che sorprendente nel modo oliato in cui si realizza, l’esibizione con cui Lady Gaga mostra tutta la sua bravura affiancandosi a Cooper nell’esibizione che cambierà per sempre la vita, artistica e sentimentale, dei due personaggi. L’entrata in scena nel club di drag queen a inizio film, invece, che sancisce l’incontro casuale tra i due protagonisti, non ha nulla di mitico. Come un po’ tutto il film. Alcune canzoni diventeranno sicure hit (Shallow resta nella memoria) ed è possibile che gli Oscar decidano di celebrare un cinema così classico e in fondo innocuo.