Commedia, Recensione

A ROYAL WEEKEND

Titolo OriginaleHyde Park on Hudson
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione2012
Genere
Durata94'
Sceneggiatura
Tratto dadal radiodramma omonimo di Richard Nelson
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Il fine settimana che Giorgio VI e la regina Elisabetta trascorsero nella tenuta di campagna della madre del Presidente Roosevelt.

RECENSIONI

Hyde Park on Hudson, ovvero quando nel titolo (lasciamo perdere l'ammiccante, ad altre e ben diverse pellicole, versione italiana) c'è tutto il film: Stati Uniti e Gran Bretagna, Nuovo e Vecchio Mondo, confederazione in ascesa e impero con le ore contate, meriggio democratico e tramonto monarchico, vitalità da New Deal e stanchezza atavica, hotdog e cocktail. Naturalmente i due universi opposti e simmetrici sono anche speculari: le debolezze fisiche dei 'sovrani', la differente ma in fondo identica petulanza delle loro dominanti consorti, il terrore di risultare inadeguati ai rispettivi ruoli e la consapevolezza che solo nelle proprie debolezze i grandi uomini trovano la forza di cambiare la Storia. La Storia, ma non le piccole storie private, che rimangono nell'ombra, si macerano nella solitudine di una notte senza stelle in cui le illusioni si dissolvono e gli incubi si concretizzano, cristallizzandosi in frammenti di perfetta (in)felicità, come farfalle o francobolli fissati su un album che sarà sfogliato solo per ingannare l'attesa, anestetizzare la memoria, esorcizzare i ricordi. Tutto (per) bene, insomma, ma il racconto avrebbe avuto bisogno di una marcia differente, di un più attento studio dei caratteri, qui ridotti a macchiette e marionette già viste in tanti brutti TV movie, senza che il grottesco predomini mai sull'incessante, e quindi rassicurante, succedersi di gag perennemente indecise tra simulate ingenuità e sottolineature a buon mercato (le scampagnate in automobile), rancide invenzioni visive (la macchina a mano che illustra il caos del quartier generale di FDR), scene madri che si vorrebbero antieroiche e giocate all'insegna del sottotono e che risultano solo insignificanti (bench)e(') pompose. 'Merito', prima ancora che di una sceneggiatura a esser buoni approssimativa, di una regia che non riesce a strappare agli attori una performance che vada oltre la gigionata in costume. Bill Murray gironzola sul set persuaso di essere irresistibile, Laura Linney si salva con il mestiere ma è in evidente affanno, gli altri si sforzano per lo più di adattarsi alle lussuose scenografie. Un po' poco.