Drammatico, Recensione

LOCKE

Titolo OriginaleLocke
NazioneGran Bretagna
Anno Produzione2013
Durata85'
Sceneggiatura

TRAMA

Ivan Locke si è dato molto da fare per crearsi una vita soddisfacente. Stanotte quella vita gli crollerà addosso. Alla vigilia della più grande sfida della sua carriera, Ivan riceve una telefonata che mette in moto una serie di eventi che faranno a pezzi la sua famiglia, il suo lavoro e la sua anima.

RECENSIONI

Vero e proprio One Man Show, Locke è film interamente imperniato sulla performance attoriale di Tom Hardy, sorta di variazione su La Voce Umana che si inscena in un lungo viaggio in auto. Ivan Locke, collegato al suo mondo di relazioni con un cellulare, nel tempo reale di una serata in cui vita matrimoniale, intima e professionale convergono in un punto decisivo e le responsabilità di un’esistenza si concentrano ineluttabilmente, non riesce a mediare sul diktat interiore della coerenza con se stesso, con una storia personale che ne ha segnato coscienza e atteggiamento nei confronti della vita. Dalle conversazioni telefoniche, infatti, emerge il suo passato, il suo essere stato abbandonato dal padre, e le radici della necessità morale di sfuggire un medesimo destino di assenza: Locke, dunque, sente come un obbligo il mettere ordine al caos, anche se questo significa accettare la fine del suo matrimonio e l'abbandono del suo impiego. La volontà di essere presente, di mantenere fino all'ultimo e con responsabilità gli impegni presi, si ribadisce anche sul piano professionale (quel grattacielo - i cui lavori devono iniziare e le cui fondamenta stanno per essere gettate - è una sottolineatura, anche metaforica, del concetto base). Il film fida molto sull'idea centrale di descrivere la tragedia di un uomo solo come un'apocalisse, quella di un pianeta personale che cade a pezzi, ma palesa nella scrittura l'artificio del suo impianto, con alcune rigidità di sviluppo dettate dalla staticità della situazione, con svolte repentine e poco elaborate e alcune derive (i monologhi allo specchietto retrovisore) di marca teatrale, decisamente fuori registro. Su tutto giganteggia Hardy - magnifico nel modulare gli stati d'animo, con un'interpretazione fatta di pieno controllo, punteggiata da espressioni smorzate e rabbia trattenuta - ad una prova difficoltosa oltre ogni dire (non solo regge ogni inquadratura del film, ma lo fa quasi immobile, giocando con una mimica e una prossemica limitatissima). Un'eccellenza interpretativa, la sua che, con le scelte giuste, segnerà il decennio: la visione del film vale solo per lui (qualsiasi doppiaggio gli si affibbierà è da ritenersi un oltraggio).