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LA STRANEZZA

TRAMA

Nella Sicilia del 1920, Luigi Pirandello incontra due attori dilettanti che stanno provando un nuovo spettacolo, che si trasforma, a poco a poco, in una resa dei conti tra platea ed attori.

RECENSIONI

La stranezza è un'operazione che si muove su più piani: è al contempo un racconto biografico sui generis, una riflessione metateatrale e un tributo stratificato all'universo poetico di Luigi Pirandello. Ambientato nel 1920, il film prende avvio da un episodio documentato – il ritorno dello scrittore nella nativa Sicilia per assistere al funerale della sua nutrice – e, da lì, si apre a una narrazione che sfuma costantemente i confini tra cronaca e invenzione, realtà e rappresentazione. Andò non si limita a rievocare un momento della vita del drammaturgo, ma costruisce una dimensione intrinsecamente pirandelliana, in cui la verità si disgrega e si riformula in un continuo gioco di specchi. Fulcro della vicenda è l'incontro tra Pirandello e due becchini improvvisati attori amatoriali – interpretati da Ficarra e Picone, misurati e profondi – che darà origine alla scintilla creativa da cui scaturirà Sei personaggi in cerca d'autore. A partire da questo nucleo, Andò struttura un racconto a incastro in cui la forma teatrale diventa lente deformante dell'esistenza, mentre la vita stessa assume i tratti di una storia già scritta, ma soggetta a continui slittamenti, revisioni e riscritture. L'opera si configura così come un'indagine raffinata sul rapporto tra autore, personaggi e realtà. Non è un biopic tradizionale: La stranezza è un film “alla Pirandello”, in cui ogni gesto è ambiguo, ogni verità è relativa, ogni personaggio ha il sospetto di essere attore. Toni Servillo restituisce un Pirandello assorto, malinconico, quasi visitato dai suoi stessi fantasmi creativi, mentre Ficarra e Picone incarnano la comicità popolare che diventa, a sorpresa, motore di poetica e ispirazione. Il loro dialetto, la goffaggine affettuosa e la passione per il palcoscenico introducono nel film una comicità che non distrae, ma rivela: il teatro – sembra dirci Andò – nasce sempre dal basso, dall'imprevisto, dall'incongruo. La regia è sobria, calibrata, con una fotografia calda che restituisce la Sicilia come luogo dell'anima, sospeso tra l'onirico e il concreto. La messa in scena teatrale che conclude il film – vera genesi del capolavoro pirandelliano – si carica di una tensione quasi magica: vediamo l'idea nascere, prendere forma, diventare leggenda. In questo gioco di scatole cinesi, Andò riflette anche sull'atto creativo stesso: da dove nasce l’arte? Dal dolore, dalla comicità, dalla morte? Tutte queste forze sembrano convivere nella pellicola e nei suoi personaggi. Un confronto con il film successivo del regista, L'abbaglio, conferma questa poetica del doppio: se La stranezza guarda al teatro come finzione rivelatrice, L'abbaglio mostra la Storia come maschera collettiva, dove l'illusione diventa struttura del reale. È proprio questa ambiguità che rende La stranezza così potente e compiuto: non dà risposte, ma moltiplica le domande. Ci troviamo di fronte, probabilmente, al film più accessibile e al tempo stesso più sofisticato di Andò: una riflessione lieve e profonda sull'identità, l'arte, la finzione; e su quella meravigliosa, inafferrabile cosa che chiamiamo “stranezza”.