TRAMA
Leo e Ale sono fratelli: il loro passato è segnato da un dramma che cercano di cancellare. La vendita della casa d’infanzia in Sicilia e il viaggio che Leo compirà nella sua terra natale faranno ritornare alla memoria tragici episodi.
RECENSIONI
Roberto Andò riesce nel miracolo di un film irreprensibile: un viaggio segreto nella memoria, a superflua conferma dello spessore complesso del Sud, che prende la matrice letteraria - il romanzo Rivelazioni di Josephine Hart - e la contamina con i segnali della psiche. L'opera, se apre il sipario sulla semplice contrapposizione (l'indagatore della mente, incapace di penetrare sé stesso), subito manifesta la calligrafia peculiare dell'autore, trova l'angolatura di sbieco e scrive la storia dal suo punto di vista, non offre appigli di rassicurante riconoscibilità narrativa ma punta forte sull'insolito e l'individuale; il girovagare sospeso di figure introverse, tra le sbarre di ambienti stringenti, è attraversato da una perturbante voce off che dirotta l'attenzione al sintomo straniante (l'umore dei pesci nell'acquario) e sprigiona uno strisciante sottotesto. Il regista palermitano, citando Menzogna e Sortilegio della Morante, arriva al cuore della questione: il film sbarca in Sicilia - lo spazio si apre ma rimane soffocante - e non lo dice, muovendosi doppiamente nella regione (fisica e interiore), in questo deserto del Tempo si smarrisce incrociando i suoi strani abitatori (una ninfa malinconica, un prete ingannatore, un padre compromesso). La conoscenza intima del problema, la pertinenza dei riferimenti di Andò innesca il cortocircuito della visione, oltre il velo tramico, e coniuga la dimensione mitologica alla cronaca inesplosa di un contesto crudele, primitivo, devastato; occulte sono le allusioni al dramma meridionale ma non meno impressionanti, dal sonno contro il malaffare (Ho fatto il magistrato per scalfire il prestigio della Morte, così il padre) all'uso delle armi, prima di tutto interiore perché introiettato nella forma mentale (se i bambini giocano a sparare, allora non stupisce l'agnizione finale). Il discorso prosegue nei tentacoli di inquadrature ricercate (la prima scena, nudo e natura morta), che sfruttano a dovere la catatonia di Boni, la grazia spigolosa di Donatella Finocchiaro e lo sguardo di Kusturica, lasciando emergere il lavoro originariamente teatrale dell'autore - una firma sudista, da Chimera a Luna Rossa - dove si mescolano piani temporali. L'attore è anche spettatore, il presente va in diretta e il ricordo dietro le quinte. Gli interpreti tolgono il costume; gli oggetti di scena, impolverati, si ripongono dopo la recita.
Un luogo in cui la Morte non ha consolazione è un luogo indegno.
