Commedia, Focus, Giallo

8 DONNE E UN MISTERO

Titolo Originale8 femmes
NazioneFrancia
Anno Produzione2002
Durata103'
Tratto da Huit Femmes pièce di Robert Thomas
Fotografia

TRAMA

Un facoltoso industriale viene assassinato nella sua casa. Chi è “la” colpevole?

RECENSIONI

Una serra di fiori carnivori, un eremo squisitamente carcerario, un inverno del diffuso scontento nel quale rancori e rivalità si rivelano attraverso stilettate (non solo verbali) dolci e letali. Come in altri film del regista, un trauma (qui e ne Les Amants Criminels un delitto, in Sotto La Sabbia un'assenza improvvisa) sottolinea la stritolante fragilità di un groviglio di rapporti interpersonali: i personaggi sono colti in una trappola (per topi?) dalla quale si può tentare di evadere grazie all'allucinazione, anche se la libertà potrà essere conquistata solo a prezzo della vita.
Con 8 Donne (tralasciamo il mistero inserito nel titolo italiano) Ozon firma un'opera perfetta, che vede l'asprezza dell'assunto riflettersi nella sfrontata stilizzazione della messinscena. La galleria di tipi femminili è un sistema di frammenti luminosi prodotti e catturati da un solo cristallo, i gesti più enfatici e stereotipati plasmano geometriche coreografie, i torrenti di parole astiose fluiscono nelle canzoni del repertorio francese (interpretate dalle attrici stesse), le scenografie partono dal naturalismo per costruire uno spazio astratto (le tende rosse come maliziosi sipari, le finestre che incorniciano i conflitti, le gocce di ghiaccio sui veleni sfrigolanti), l'intrigo giallo si frantuma sotto il peso dei silenzi e dei sottintesi non meno che delle incessanti rivelazioni.
Il brio meccanic(istic)o del whodunit (per tacere del musical) è smontato con lucida disperazione: la seducente gratuità metanarrativa dell'opera (infiniti gli indizi cinefili e i sentieri interpretativi sovrapponibili) determina il destino dei personaggi. In bilico fra realtà e finzione, intima adesione e straniamento, il gioco delle parti finisce per essere troppo pericoloso per essere soltanto un gioco: la sequenza conclusiva ci porta dall'altro lato dello specchio (della morte), ribaltando il riso amaro in sofferta elegia.
Ozon cesella un racconto fuori dal tempo (la vicenda, pare, è ambientata negli anni Cinquanta, ma è un dettaglio irrilevante, dato che il lusso preserva dalle follie... della moda) che utilizza il linguaggio del teatro (impostazione frontale compresa) per fare delizioso cinema: la macchina da presa indugia su volti e corpi, sfuma voci e occhiate e, con l'inestimabile collaborazione di otto primedonne assolute (impossibile stabilire gerarchie, inutile dichiarare preferenze), restituisce all'espressione 'esercizio di stile' un'ironica malinconia che sembrava perduta per sempre. Non ci sono amori felici, ma c'è ancora qualche regista capace d'idolatrare l'immagine.

Difficile credere che il regista di questo delizioso racconto corale sia lo stesso che ha debuttato nel 1998 con l'orribile Sitcom. Eppure, gia' nella malriuscita opera prima di François Ozon (coccolato dalla critica fin dai cortometraggi di esordio), ci sono tutti gli elementi che contraddistinguono la sua cinematografia: la dissacrazione della famiglia, una certa morbosità nel delineare le pulsioni umane, il gusto del grottesco, la contaminazione di stili. Elementi che ritroviamo, con ben altra armonia, nel riuscitissimo Otto donne e un mistero. Il regista riesce infatti ad amalgamare con ironia atmosfere da giallo all'Agatha Christie, una passione per il cinema come dispensatore di sogni e un pizzico di contagiosa follia. La storia vede riunite otto donne in una casa isolata al cospetto di un uomo accoltellato. L'assassina pare essere inevitabilmente una di loro e la forzata prigionia fara' riemergere conflitti familiari mai sopiti. Raccontato così sembra il classico film di impostazione teatrale, dove le apparenze ingannano, i parenti si rivelano serpenti, bla, bla, bla. Invece Francois Ozon riesce ad imprimere al lungometraggio un taglio personale esplicitando fin dai floreali titoli di testa le sue intenzioni: giocare con il cinema. Ma non si accontenta di un citazionismo spicciolo, riproducendo fedelmente atmosfere in technicolor degli anni cinquanta e facendo muovere le attrici come dive del passato. Non tenta, insomma, la carta dello svecchiamento fine a se stesso, ma dona nuova vitalità ad un immaginario solo temporaneamente accantonato. Qualcosa di simile all'operazione compiuta da Todd Haynes in Far from heaven, con la differenza che si partecipa al film di Ozon con un prolungato sorriso ironico, mentre il lungometraggio di Haynes finisce con il raffreddarsi prendendosi sul serio. Alla divertita e divertente riuscita di Otto donne e un mistero contribuiscono la cura dei dettagli, nelle scenografie e nei costumi, e una sceneggiatura ad orologeria, dove gli improbabili colpi di scena si succedono a ripetizione, inframmezzati da canzoni che diventano un piacevole e mai noioso intermezzo. Ovviamente, grande plauso al cast che riunisce alcune muse del cinema francese: radiosa Fanny Ardant, ironica e sempre sperimentatrice Catherine Deneuve (nonostante qualche impaccio nei balletti), bellissima (ma non solo) Emmanuelle Beart e mitica la veterana Danielle Darrieux. Isabelle Huppert è la piu' caricaturale, ma è sempre un piacere vederla recitare, Virginie Ledoyen esce dal glamour di ragazza copertina dimostrando di saper recitare e le meno famose Firmine Richard e Ludivine Sagnier sono una piacevole sorpresa.
Tra le righe emerge una buona dose di misoginia e l'Uomo appare quanto mai fragile e vulnerabile: l'unico che si intravede è morto e nei rapidi flashback è sempre di spalle. Chissà, forse un simbolo dell'anonimato della figura maschile alla completa merce' degli intrighi orditi con inganno, arguzia e poco amore dalle calcolatrici, avide e per nulla romantiche donne, anzi, Femmine. Una visione non per forza condivisibile, ma condotta con brio, humour e passione cinefila contagiosi.

8 femmes parte dal teatro per approdare alla più clamorosa celebrazione cinematografica-cinefila, che il mondo della celluloide francese potesse offrire, mélange divistico - generazionale di sorprendente freschezza. Quasi un esperimento di laboratorio: in questa gabbia dorata, si muovono impazzite e nevrotiche le dive cavie, mettendo alla prova il loro talento, sfidando i limiti del loro appeal, estremizzando i caratteri loro affibbiati: le primedonne non possono che attaccarsi reciprocamente, cambiare pelle, mostrare aggressività e dolcezza in un'estrosa e inventiva messinscena in cui piangono e ridono, malignano e consolano, si amano senza tabù (l'abbraccio gay tra la Deneuve e l'Ardant diviene ovviamente, ostentatamente, inevitabilmente un bacio da copertina, di studiato e ridanciano clamore). Si esagera ma senza esagerare in questo giallo, che giallo lo è per modo di dire e la cui soluzione  non importa a nessuno: le divine, tutte vestite (alla moda) per uccidere, fiori splendidi (i titoli di testa) di un lussuoso bouquet, mettono sul piatto il loro personale glamour con brio, vivacità e bravura. Il risultato, nel suo mescolare resnaisamente registri, con gli spiritosissimi siparietti musicali, concessi a tutte e da tutte resi con contagiosa verve, è da applauso. Ozon, come in Gouttes d'eau..., riconsidera lo spazio cinematografico, fa colare sulla rigorosa griglia di inquadrature studiatissime, otto macchie di colore vivido e, nello smaliziato deragliamento di senso operato all'interno di un testo teatrale che non sembra neanche chissà che, fa intuire, sotto la patina ricca e brillante di uno scenario fintissimo, un bruciore intimo, un dramma troppo grande per potersi esprimere seri(os)amente.
Rimuovi l'eccesso interpretativo, la coreografia, il sarcasmo e trovi dramma, sofferenza, solitudini e frustrazioni amorose e sessuali: l'autore in fondo non si è allontanato affatto dai suoi temi prediletti, compreso quello dell'inferno domestico. Sempre in bilico tra pochade e gioco metacinematografico, con le femmes in stato di grazia a scherzare con le loro immagini e con quelle di un immaginario che non tramonta, fattosi oramai mitologia contemporanea, splendide icone marchiate a fuoco sulla pellicola (scegliere tra loro sarebbe ovviamente rompere il bel gioco e allora non ne citeremo nessuna, adorandole tutte indistintamente), 8 femmes è film che monta e smonta meccanismi muovendosi con classe e intelligenza sulla linea sottile che separa forma e sostanza.
E tra tutte queste star, l'altra stella, quella di Ozon, dopo il bellissimo Sotto la sabbia, più fulgida che mai.