TRAMA
Alla fine degli anni ’60, l’hotel El Royale nasconde diversi segreti. Tre sconosciuti si ritrovano in quel posto: una giovane cantante, un anziano prete e un venditore di aspirapolveri. Il gestore dell’albergo illustra loro una piantina del posto facendogli scegliere se alloggiare in Nevada o in California, visto che l’hotel è esattamente sopra il confine tra i due Stati. Ad un certo punto una ragazza hippie entra nell’hotel con comportamenti ambigui. Tutti diventano sospettosi gli uni verso gli altri e ognuno dei presenti si trova in quel posto per delle ragioni precise.
RECENSIONI
Difficile sbilanciarsi parlando di Drew Goddard. Un talento? Un furbetto? Un mestierante di lusso? Tutte queste cose? Sic stantibus rebus, il suo lavoro più rappresentativo in senso autoriale è senz’altro Quella casa nel bosco, metahorror definitivo scritto e diretto dal nostro, che smonta il genere senza indulgere in eccessi ludici postmoderni. Scrivevo all’epoca: “Goddard non sembra interessato a far funzionare il suo film come horror e tutto appare congelato, disinnescato, morto. La componente meta- è assorbita nel tessuto narrativo, diegetizzata, creando in un certo senso un distacco ancora più netto dalla materia trattata. Non solo, infatti, è il film a giocare con i cliché ma sono gli stessi personaggi del film che conoscono e generano artificialmente i loci privilegiati del genere (il rilascio di gas ferormonici che eccita i giovinastri, la scelta del mostro tra una serie di classici, e così via)”.
Il resto del suo lavoro, fino ad ora, era stato quello di scrittura. Sceneggiature eterogenee caratterizzate da massicce dosi di intelligenza e autoconsapevolezza (Lost, Cloverfield) ma anche anonime cadute di stile, al netto di pochi guizzi (World War Z), passando per mature dimostrazioni di solidità e scaltrezza hollywoodiana (The Martian). Difficile farsi un’idea precisa. Questo 7 Sconosciuti a El Royale, di nuovo scritto e diretto da, sembrava destinato a chiarire. Macché. Volendo trovare un filo rosso con la regia precedente, lo si potrebbe individuare in una certa freddezza dell’operazione, una lucidità da saggio, priva di freschezza narrativa. Forse è azzardato parlare di destrutturazione ma questa di Goddard sembra davvero un omaggio analitico al cinema anni ’90, disinteressato al proprio funzionamento interno. La storia a incastri, lo humour cinico, qualche improvvisa esplosione di violenza, le agnizioni improvvise. Volendo fare tre nomi, fermiamoci a Tarantino, (i) Coen e qualche timido accenno a Lynch.
Però manca vita(lità). Quasi completamente. Si cerca di farselo piacere, ‘sto film, ma non ci si fa. Si sbadiglia, anche. E ci si sforza di (sor)ridere senza riuscirci praticamente mai, e senza capire precisamente perché.